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Un'altra avventura per Ambrogio Fogar: la sua nuova esplorazione nelle terre inospitali della malattia

Dopo 13 anni di immobilità, Fogar farà da cavia per le cellule staminali del dott. Hongyun

24 giugno 2005

Chi come me ha trent'anni si ricorderà sicuramente di un programma che si intitolava ''Jonathan: dimensione avventura''. Era il programma di Ambrogio Fogar, il sorridente avventuriero italiano che con i suoi viaggi ci ha fatto continuare, a noi allora adolescenti, quello nostro iniziato con le storie di Salgari. Ambrogio Fogar, il navigatore solitario, quello che andò a sfidare i misteri del ''Triangolo delle Bermuda'', quello che con la sola compagnia del suo fedele cane ''Armaduk'' raggiunse a piedi il Polo Nord. Un mito.
Poi, durante l'ennesima sfida, un'incidente spezzò il mito. L'emblema del viaggiatore, dell'uomo sempre alla ricerca rimase immobile su di una sedia a rotelle, con il midollo spinale tranciato.
Ambrogio Fogar non ci avrebbe più accompagnato in nessun meraviglioso viaggio, e la vita ad un tratto ci apparve tremendamente crudele.
Di seguito pubblichiamo un articolo di Giusi Fasano dal Corriere della Sera. Parla di una nuova sfida di Ambrogio Fogar, al quale 13 anni di immobilità non hanno fatto scomparire la sua ''dimensione avventura''.


''Non voglio credere di morire così''
Ambrogio Fogar: farò da cavia per le staminali
di Giusi Fasano (Corriere.it, 22 giugno 2005)

Prega un vento buono che spazzi via le sue nuvole ma non la speranza. Coltiva i germogli di un futuro che forse non attecchirà. Ma ci crede e per lui è la sola cosa che conta. Ambrogio Fogar, il viaggiatore che non si arrende mai, vuole rinascere. «Tentare», come dice lui, dopo tredici anni di immobilità, a fissare nuvole dipinte sul soffitto. E' pronto a partire per la Cina, dove il neurochirurgo Huang Hongyun coltiva cellule fetali e le trapianta per «riparare» la vita di chi non sa più muoversi.
Fogar si offre come cavia e lo fa dalle pagine di ''Controvento, la mia avventura più grande'', un libro Rizzoli scritto assieme a Giangiacomo Schiavi, giornalista del Corriere della Sera. Il viandante solitario, vorrebbe che si facessero esperimenti con cellule staminali sul suo corpo diventato statua dopo l'incidente del '92, quando la sua jeep si ribaltò sulla pista del raid Parigi-Mosca-Pechino, nel deserto del Turkmenistan. L'uomo delle mille imprese impossibili ora chiede aiuto all'uomo dei miracoli, il dottore che molti scienziati occidentali guardano con sospetto ma che si dice ''forte dei risultati'', in alcuni casi tanto evidenti da indurre la patinata rivista scientifica inglese Lancet a dedicargli un servizio con le interviste a una dozzina di ''miracolati''.

Ecco, è in tutto questo che vivono le speranze di Ambrogio Fogar: ''Alla scienza non posso chiedere di stringere i tempi, posso soltanto dare la disponibilità ad usare il mio corpo per un tentativo che mi aiuta a sperare''. Come fosse una nuova esplorazione nelle terre inospitali della malattia.
Lui non ha paura: ''Da troppi anni vivo tutto il male della morte nella perfetta coscienza della vita''. Che vuoi che sia questa nuova avventura per chi deve farsi asciugare le lacrime se piange? Che importa se gli scienziati dicono che riallacciare il midollo spinale tranciato ''è come saldare un filo di rame con la marmellata''? L'anima di un navigatore solitario che ha vissuto su una zattera per 74 giorni in balia del mare, non va mai alla deriva. ''Lo so - dice lui - che la speranza delle volte delude ma io in questo tentativo ci credo''. Poi si corregge: ''Ci voglio credere''.

''Controvento'' doveva essere la raccolta delle risposte alle email dei lettori dopo l'intervista rilasciata da Fogar al Corriere della Sera un anno fa, è diventata anche una risposta alla rassegnazione, all'eutanasia, alla sfiducia. Una lode ai valori positivi della vita, nonostante tutto. Ma anche un inno alla ricerca scientifica.
Imprigionato nel suo letto, il viaggiatore immobile ha sognato un sì al referendum sulla fecondazione assistita, un sì alla sperimentazione sulle cellule staminali embrionali. La contabilità della delusione è arrivata con quel 25,9% di votanti. Fine di quel piccolo-grande sogno. ''Io credo in Dio. Ogni volta che sono arrivato prossimo al limite ho anche pensato che Dio, in qualche modo avrebbe finito per manifestarsi. Sulla zattera lo imploravo di farmi accettare serenamente la nostra sorte, di non lasciare che ci prendesse la disperazione. Ma non capisco perché nel suo nome si debba bloccare la ricerca''.

Se e quando andrà in Cina, Fogar lo saprà il mese prossimo, quando sua figlia avrà parlato con il dottor Huang. Più di un medico gli ha sconsigliato di sottoporsi agli esperimenti del neurochirurgo cinese: quell'uomo non pubblica ricerche strutturate e rigorose, dicono. Ma di quest'obiezione Fogar conosce anche la risposta di Huang: ''Devo fare qualcosa per la gente che soffre. Non posso darmi da fare anche per essere accettato dalla comunità scientifica''.
Non sarà lo scetticismo di alcuni a dissuadere il pioniere dei viaggi avventura. Vuole andare in Cina. Chi lo conosce giura che la farà. Gli scrivono giovani, anziani, professionisti, navigatori, carcerati, suore. Gli dicono grazie, non mollare, resisti. Lui assicura ''Non mollo. Spero un giorno di tornare a camminare con le mie gambe, non accetto che si arrenda chi ha la vita in pausa e non voglio credere di morire così, immobile...''.
La sua vita è di nuovo su una zattera, stavolta fra le onde ruggenti dei sogni.

- Corriere Salute del 16 gennaio 2005

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24 giugno 2005
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