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Un "capo dei capi" incapace di intendere e volere

Secondo il colonnello Mannucci Benincasa "il capo di Cosa Nostra è ancora Totò Riina", che secondo il suo legale non è più capace di intendere

01 febbraio 2012

"Dalle indagini che condussero all'operazione Perseo (con 99 arresti, il 16 dicembre 2008, fu bloccato il tentativo di riorganizzazione della cupola mafiosa, ndr), dai pizzini di Provenzano e dalle intercettazioni è emerso che il capo di Cosa Nostra è ancora Totò Riina".
E' quanto affermato dal colonnello dei carabinieri Jacopo Mannucci Benincasa, che nel 2008, a Palermo, coordinò l'operazione antimafia "Perseo", ascoltato ieri dal Tribunale di Marsala nel processo al boss latitante di Castelvetrano, Matteo Messina Denaro, e a 13 suoi presunti favoreggiatori. "Nelle carte dell'inchiesta, poi, si legge che c'era bisogno di quell'autorevolezza che Provenzano ormai non aveva più e questa autorevolezza viene attribuita a Matteo Messina Denaro, - ha aggiunto - non come capo, ma come personaggio in grado di dirimere le questioni".
Il processo è scaturito dall'operazione "Golem 2" del 15 marzo 2010 (LEGGI).

L'ufficiale dei carabinieri ha, inoltre, spiegato che dalle intercettazioni ambientali effettuate in un garage di Palermo utilizzato dal boss Giuseppe Scaduto per incontri riservati è emerso che "gli ambasciatori di Benedetto Capizzi, capo del mandamento di Villagrazia, allora agli arresti domiciliari, e che si proponeva come nuovo capo della cupola mafiosa, riferivano che l'iniziativa di riorganizzare Cosa Nostra era partita da Matteo Messina Denaro, con il quale dicevano di avere contatti diretti". A questo progetto di riorganizzazione, però, ha proseguito il colonnello Mannucci Benincasa, "si opponeva Gaetano Lo Presti, capo del mandamento palermitano di Porta Nuova, dicendo che senza l'autorizzazione dal carcere non si poteva andare da nessuna parte". A far presumere che a comandare è ancora Totò Riina, ha spiegato l'ufficiale dei carabinieri, è anche il "mancato rientro dagli Usa degli scappati, rientro che i Lo Piccolo volevano, ma al quale si opponeva Nino Rotolo".

Dunque, Totò Riina ancora "capo dei capi", almeno fino a qualche anno fa. Sì perché, come ritenere "imperatore supremo di Cosa nostra" un uomo "non in grado di intedere e di volere"? Il legale di Totò Riina, Luca Cianferoni, infatti, ha chiesto e ottenuto la perizia psichiatrica sul boss mafioso, che secondo lui non sarebbe più in grado d'intendere e di volere.
La richiesta è stata avanzata al processo d'appello per l'omicidio di Giovanni Mungiovino, politico ennese della Dc, ucciso il 9 agosto '83. I giudici di Caltanissetta, dove si celebra il processo, hanno nominato un collegio che visiterà Riina in carcere giovedì prossimo. La perizia sarà depositata il 9 febbraio.
Per il delitto del politico ennese furono condannati all'ergastolo Giacomino Sollami di Villarosa, Totò Riina e il boss di Vallelunga Pratameno, Piddu Madonia. Nel processo i figli di Mungiovino, assistiti da Renata Accardi del Foro di Caltanissetta, si sono costituiti parte civile. Mungiovino, ammazzato nei pressi del bivio Benesiti, sulla statale per Caltanissetta, fu punito, secondo la Dda, per aver preso posizione contro i Corleonesi, che decisero di ucciderlo "su deliberazione della commissione regionale, presieduta da Salvatore Riina". La prossima udienza del processo è fissata per il 10 febbraio, mentre la posizione di Totò Riina è stata stralciata.

[Iformazioni tratte da Corriere del Mezzogiorno, ANSA, Lasiciliaweb.it]

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01 febbraio 2012
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