Un figlio da laureare? Costa come un mutuo!
Le spese delle famiglie italiane per laureare i propri figli e l'incognita della realtà post laurea
Le grandi spese e l'aumento annuale di esse, che le famiglie devono affrontare per mandare i figli a scuola è un fatto risaputo, come risaputo è l'eccessivo costo dell'università, partendo dall'iscrizione, per finire agli spropositati costi, aggiunti a tutti gli altri, se lo studente ha l'esigenza di studiare fuori sede.
A conti fatti la soddisfazione di un genitore nel vedere il proprio figlio laureato viene a costare quanto il mutuo di una casa, e diventa sempre più difficile aggiungere a questa soddisfazione quella di vedere il proprio figliolo "sistemato" in breve tempo, dopo tanti anni di sacrifici, con un posto di lavoro.
Per rendersi conto di qual'è l'effettiva spesa a cui si deve far fronte per laureare un figlio, possiamo avvalerci dell'ultimo segmento di una recente inchiesta sui costi della pubblica istruzione in Italia, fatta dall'associazione di consumatori Adiconsum, che proprio il mondo dell'Università analizza prendendo in esame i costi relativi alle tasse universitarie, ai libri, al vitto e all'alloggio, in dieci atenei distribuiti sul territorio nazionale.
Per il calcolo delle tasse universitarie, l'Adiconsum, ha considerato la famiglia tipo italiana, composta di tre persone e con un reddito medio di 24000 euro lordi: i costi annuali variano dai 712 euro per una facoltà umanistica agli 815 euro di una facoltà scientifica, con punte di 1325 euro.
Un altro importante capitolo di spesa è quello relativo ai libri: per comprare i testi degli insegnamenti del primo anno accademico si devono sborsare mediamente 420 euro se si frequenta una facoltà umanistica; la cifra sale fino ai 750 euro se la facoltà e scientifica, con una punta massima di 860 euro se sia ha la "sfortuna" di frequentare Medicina e Chirurgia.
Se si è studenti fuori sede, e bisogna preoccuparsi anche di vitto e alloggio, i costi diventano veramente proibitivi: per avere un semplice posto letto in una stanza ammobiliata sono necessari almeno 250 euro al mese, che possono raddoppiare nel caso si opti per l'affitto di una stanza singola.
Anche le mense non sono così economiche: mediamente bisogna pagare altri 220 euro al mese.
Quindi per poter mantenere un figlio fuori sede all'università, nell'ipotesi più economica (facoltà umanistica e sistemazione con posto letto) si devono spendere almeno 7000 euro all'anno.
Naturalmente ogni ateneo ha nel suo ordinamento delle facilitazioni per favorire il diritto allo studio: spesso però queste misure si rivelano del tutto inefficaci, visto l'alto numero di iscritti e i tagli continui che vengono fatti ai budget degli atenei.
Solo un esempio: La Sapienza, con più di 130000 iscritti, ha a sua disposizione solo 1505 posti letto e poco meno di 5000 borse di studio (3070 per le matricole e 1731 per iscritti ad anni successivi al primo alla prima richiesta). Da ricordare che per gli studenti figli di lavoratori dipendenti è molto difficile poter rientrare all'interno di questi benefici, poiché spesso i beneficiari sono i figli dei lavoratori autonomi poiché il reddito è autodichiarato e non denunciato dal datore di lavoro.
Analizzando brevemente i costi dei master universitari - quella parte di approfondimento che dovrebbe dare allo studente la quasi certezza di un posto di lavoro - dobbiamo ricordare che il prezzo medio di questi è di 6500 euro per una durata di 12 mesi; si arriva fino a 18900 euro per un master in ingegneria della durata di 24 mesi. Queste cifre mal si collegano al concetto di Pubblica Istruzione e di diritto allo studio, rendendo di fatto la specializzazione post laurea un privilegio di pochi.
Per questi chiari motivi Adiconsum ha rinnovato la sua richiesta al Ministro Moratti: più fondi per il diritto allo studio.
Ma qual'è il premio per tutti quei laureati (e genitori) che nonostante le spese che si sono dovute affrontare nell'arco di cinque/sette anni, sono orgogliasamente arrivati alla meta? Ossia, quanti sono poi i laureati che riescono a trovare subito un'occupazione?
Una risposta la si potrà avere tramite l'indagine sulla condizione occupazionale dei laureati delle Università che aderiscono al consorzio interuniversitario Almalaurea, che quest'anno giunge alla sua settima edizione.
Oltre 54mila laureati di 27 università italiane, che fanno parte delle 39 aderenti ad Almalaurea, saranno contattati in questo periodo per capire quale è stato il loro destino dopo la discussione della tesi. Se lavorano o stanno cercando un impiego, oppure se hanno preferito proseguire gli studi.
L'indagine, cominciata il 9 di settembre, coinvolgerà pure i 3.687 laureati dell'Università di Catania che hanno conseguito il titolo nelle sessioni estive (tra maggio e luglio) degli anni 2003, 2001 e 1999. In particolare, saranno interrogati sulla loro condizione occupazionale 1.525 laureati a un anno dalla laurea, 1.148 a tre anni e 1.014 a cinque anni dalla laurea. Avrà lo scopo di indagare riguardo i laureati da un anno, da tre e da cinque anni offrendo l'opportunità di analizzare la portata del valore aggiunto della formazione post laurea nell'accesso alle posizioni lavorative più ambite dal laureato e più richieste dai settori avanzati del sistema economico del Paese.
Almalaurea presenterà l'atteso rapporto annuale sull'ingresso dei giovani laureati nel mondo del lavoro a febbraio 2005, presso l'Università di Ferrara.
Gli Atenei coinvolti nella nuova rilevazione sono, ovviamente, solo quelli che hanno inserito i propri laureati in banca dati da almeno un anno. Ecco l'elenco: Bari, Basilicata, Bologna, Cassino, Catania, Catanzaro, Chieti, Ferrara, Firenze, Genova, Messina, Modena e Reggio Emilia, Milano-IULM, Molise, Padova, Parma, Piemonte Orientale, Roma LUMSA, Salerno, Sassari, Siena, Torino, Torino Politecnico, Trento, Trieste, Udine, Venezia-IUAV.