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Un'Italia satura di cemento

Dal WWF l'impietosa fotografia sull'Italia d'oggi con troppo cemento dappertutto e poco territorio libero ovunque

12 agosto 2009

Un territorio quasi saturo, sparpagliato, cosparso, a macchia, di case, strade e capannoni, una specie di città diffusa che sembra più una metastasi che una città, con oltre 3,5 milioni di ettari, di cui 2 milioni di terreni agricoli, divorati dal cemento negli ultimi 15 anni, una superficie grande quasi quanto il Lazio e l'Abruzzo messi insieme, a un ritmo di 244mila ettari all'anno. Oltre 8mila comuni e altrettanti piani regolatori diversi, 12,8 milioni di edifici, 27 milioni di unità abitative (per il 20% non abitate) e una serie di piani casa in corso di definizione. Il tutto collegato da più di 200mila chilometri di strade che frammentano il territorio come fosse un mosaico, e un piano di "infrastrutture strategiche", previsto dalla Legge Obiettivo, che danneggerebbe 84 aree protette e 192 Siti di Importanza Comunitaria (SIC), tutelati dall'Unione Europea. Sul fronte demografico, nel frattempo, una crescita limitata se non assente.
È questa la impietosa fotografia sull'Italia scattata nel dossier "2009 L'anno del Cemento", a cura del WWF con contributi di Bernardino Romano e Corrado Battisti dell'Università dell'Aquila.

I piani casa regionali non fanno che peggiorare la situazione, sottolinea il dossier WWF. Dopo lo scontro con il Governo sulle competenze istituzionali avvenuto a marzo, le regioni sembrano essersi accorte di avere un potere che non esercitavano appieno e hanno provveduto in modo disomogeneo a sedicenti piani casa che aprono a pesanti interventi anche sugli immobili industriali e artigianali e, in alcuni casi, consentono pericolose semplificazioni autorizzative. Con un effetto se possibile peggiore rispetto al testo iniziale del Governo, giustamente bloccato. Le situazioni sul territorio nazionale sono differenti ma, in sostanza, viene ammesso praticamente ovunque un incremento di cubatura del 20% che può arrivare a oltre il 30% se accompagnato dalla messa in efficienza energetica degli edifici. Molte regioni, tra cui Piemonte e Lombardia, consentono l'ampliamento dei capannoni senza che questo sia in alcun modo condizionato da un adeguamento dei servizi, compresi quelli di viabilità. Altre consentono il cambio di destinazione d'uso e forme di comunicazione dei lavori, che non solo fanno saltare i permessi a costruire (le vecchie concessioni edilizie) ma addirittura anche le dichiarazioni inizio attività. Il risultato è che "si aumenta potenzialmente e senza controllo non solo la cubatura ma anche la densità abitativa, senza che questo sia condizionato da servizi e standard urbanistici come, ad esempio, il verde pubblico".

Quanto all'urbanizzazione, nel dossier WWF si legge che, in Italia, è cresciuta del 500% dal 1956 al 2001 raggiungendo un picco tale che a ogni cittadino possono esserne attribuiti in media ben 230 metri quadri. Per dare un'idea, basti pensare che più di 100 Comuni hanno urbanizzato oltre il 50% della propria estensione e che solo il 14% del territorio nazionale dista più di 5 km da un centro urbano (il 28% più di 3,5km), vale a dire che in Italia non è sostanzialmente possibile tracciare un cerchio di 10 km di diametro senza intercettare una zona costruita.
Quasi il 60% dell'urbanizzazione si concentra nelle pianure, che coprono il 18% del territorio italiano, tanto che secondo alcuni ricercatori se continuiamo così entro pochi decenni non ci saranno più aree pianeggianti libere da cemento e asfalto. Ma anche gli 8mila chilometri di costa, le colline pedemontane, le aree lungo i fiumi e perfino le piccole isole e le aree agricole non vengono risparmiate. Un trend che, con la scusa di un rilancio economico che andrebbe a rafforzare un comparto edile in realtà costantemente in crescita, è destinato a degenerare in un effetto domino che apre allo scempio, con gravissime ripercussioni sul benessere di tutti gli italiani. Sì, perché il territorio libero non è solo un bel paesaggio da guardare dal finestrino della propria auto, ma è condizione imprescindibile per mantenere gli ecosistemi vitali e garantire i servizi, indispensabili anche per l'uomo, che sono in grado di offrire (acqua, aria, cibo, protezione…). Oltre a causare la scomparsa di specie animali e vegetali, comprese quelle agricole e forestali, e la riduzione di materie prime che sono alla base della nostra economia, l'urbanizzazione crea una barriera orizzontale tra suolo, aria e acqua che interferisce con le loro funzioni: viene impedita la ricarica delle falde acquifere, aumentano i rischi di inondazioni, si riduce la capacità di assorbimento del carbonio e quindi la capacità di contenere le modificazioni climatiche, vengono distrutti e frammentati gli habitat, con un conseguente crollo della biodiversità, in particolare per grandi carnivori come l'orso, che necessitano di ampi spazi vitali.

"Il territorio, fondamentale per assicurare il benessere di tutte le forme viventi compreso l'uomo, è una risorsa esauribile e irrecuperabile. Ma in Italia il continua a essere cementificato in maniera sempre più accanita, dalle pianure alle coste, fino ai luoghi più impervi", ha dichiarato Gaetano Benedetto, co-direttore generale del WWF Italia. "Se la nostra classe politica ed amministrativa fosse in grado di comprendere le conseguenze di questi dati, certamente nessuno si azzarderebbe a proporre piani casa quali quelli che si stanno vendendo in queste settimane. L'iniziativa sul piano casa del Governo giustamente fermata dalle regioni si è trasformata in una sorta di boomerang sul territorio. Un effetto domino che, nonostante la procedura formalmente più corretta sotto il profilo istituzionale riversa ovunque ancora più cemento, se possibile, di quanto lo stesso Governo non avesse ipotizzato".
L'Italia, che ospita ben 12mila specie di piante e oltre 57mila specie animali, di cui 4.777 endemiche (ovvero esclusive del nostro Paese), oltre a una grande varietà di ambienti naturali, è contemporaneamente uno dei Paesi europei più ricco di biodiversità e maggiormente a rischio riduzione o perdita di questo patrimonio biologico. Allo stesso tempo, è tra i primi Paesi produttori e consumatori di cemento in tutta Europa (47,5 milioni di tonnellate nel 2007, di cui il 70% destinato all'edilizia), un settore "controllato" da 1796 imprese che danno lavoro a "soli" 14mila addetti, e che ha creato in Italia un totale di 16mila cave (di cui 10mila abbandonate) trasformando il nostro territorio in un vero e proprio "formaggio gruviera". E buona parte di questo cemento viene riversato proprio sulle aree più importanti per la biodiversità, ovvero coste, fiumi e aree agricole.

"Lo Stato deve riprendere il proprio ruolo", conclude Gaetano Benedetto che aggiunge: "le competenze urbanistiche rientrano nel più vasto concetto di governo del territorio introdotto nel 2001 con la riforma del titolo quinto della Costituzione. Questo significa che la materia non è esclusiva competenza delle regioni, ma appartiene in parte anche allo Stato, che ha il dovere e il diritto di indirizzare e rendere coerenti gli interventi sul territorio. Lo Stato sino ad oggi non ha esercitato questa sua competenza", afferma ancora Benedetto che conclude: "il risultato è un patchwork indigesto che aggrava una situazione pesante già preesistente e segnata da milioni di abusi, molti dei quali ancora con le pratiche condono ancora aperte".

La Regione Sicilia: "Ridiscutere i limiti di edificabilità dalla costa" - "Bisognerebbe ridiscutere l'attuale divieto a costruire entro i 150 metri dalla costa. Voglio incontrare i sindacalisti e le associazioni ambientaliste per capire quali siano le ragioni del vincolo, senza escludere la possibilità di variare questo parametro" aveva detto l'assessore al Turismo della Regione siciliana, Nino Strano, durante la conferenza stampa sulle linee guida della sua attività. "Questo vuol dire - ha aggiunto - che sarà possibile ridurre ulteriormente la distanza dal mare se sarà reputato opportuno. O al contrario, a seconda dei casi, aumentarla".
"Siamo alquanto allibiti. La paventata possibilità di rivedere i vincoli edilizi sulla costa al di sotto dei 150 metri costituirebbe un incentivo all'abusivismo ed alla conseguenziale ed ormai tristemente nota richiesta e concessione di sanatoria" hanno risposto il senatore Fabio Giambrone, commissario siciliano di Idv e Giovanni De Benedictis, vicepresidente del gruppo Pd all'Ars. "Vogliamo che le coste siciliane vengano tutelate e preservate ma non deturpate da ecomostri e speculazioni edilizie".
Infine Nino Strano ha corretto parzialmente il tiro. "Se i parlamentari De Benedictis e Giambrone avessero letto con attenzione le mie dichiarazioni riportate dalle agenzie, non avrebbero fatto balenare una mia volontà di deturpare e devastare le coste siciliane, cosa peraltro fatta da amministrazioni precedenti, di diverso colore politico, e anche locali. Addirittura sono arrivato a dire che, in alcuni casi, potrebbe essere opportuno aumentare la distanza dei 150 metri dal mare per il vincolo di edificabilità". "A meno che - aggiunge - non siano contrari a qualsiasi tipo di discussione, ma questo non apparterrebbe alla loro cultura, certamente democratica. Per quanto riguarda la ricettività alberghiera, so perfettamente come ci si trova di fronte a una diminuzione di presenze turistiche, ma come in tutte le altre regioni, i paesi europei e del globo, causata dalla crisi in cui si trova l'economia internazionale. Circa le iniziative e le tante cose da fare, li assicuro che abbiamo già cominciato a lavorare, cosi come fatto in passato e spero di essere giudicato per i fatti, e non pregiudizialmente".

[Informazioni tratte da Agenzia Internazionale Stampa Estero, La Siciliaweb.it]

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12 agosto 2009
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