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Un nuovo indagato per le stragi del '93

Ordinanza di custodia cautelare in carcere per Francesco Tagliavia, tra gli ergastolani per la strage di Via D'Amelio

17 marzo 2010


Via dei Georgofili dopo l'esplosione

Il Centro Operativo della Direzione investigativa antimafia di Firenze ha eseguito a Viterbo, nella mattinata di oggi, l'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del Tribunale di Firenze nei confronti di Francesco Tagliavia, 56 anni, ai vertici della famiglia mafiosa di Corso dei Mille, appartenente al mandamento di Brancaccio.
Tagliavia, secondo quanto spiegato, è indagato per strage, devastazione, detenzione di un ingente quantitativo di materiale esplosivo, in concorso con altre persone, tra le quali Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, Matteo Messina Denaro, Bernardo Provenzano, Salvatore Riina e Vittorio Tutino, tutti già condannati per l'inchiesta fiorentina sulla campagna stragista di Cosa nostra in continente, indagini che riguardano le autobombe che esplosero a Firenze, Milano e Roma, rispettivamente il 27 maggio, il 27 luglio e il 28 luglio del 1993 - causando 10 morti, 95 feriti e danni enormi al patrimonio artistico e religioso -, e i falliti attentati a Maurizio Costanzo a Roma (14 maggio 1993), allo stadio Olimpico (23 gennaio 1994) e al pentito Totuccio Contorno a Formello (14 aprile 1994). In particolare, sempre secondo quanto spiegato, gli inquirenti contestano a Tagliavia di aver contribuito alla realizzazione degli attentati, essendosi attivato, in ragione anche della sua collocazione ai vertici della famiglia di Corso dei Mille, nell'organizzazione dei fatti di strage, e nella gestione della fase attuativa dei delitti, mettendo a disposizione alcuni esecutori e finanziandone le relative trasferte.
La procura fiorentina è arrivata ad indagare Tagliavia anche grazie alle dichiarazioni fatte dal pentito Gaspare Spatuzza.

Francesco Tagliavia è tra i condannati all'ergastolo per la strage di via D'Amelio del 19 luglio 1992, nella quale morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. Arrestato nel 1993, l'uomo è attualmente detenuto nel carcere di Viterbo dove oggi gli è stata notificata l'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Firenze.

Alla nuova ordinanza di custodia cautelare si è arrivati grazie alle articolate indagini, dirette dalla Procura della Repubblica di Firenze e svolte con la collaborazione dei Centri Operativi Dia di Roma e Palermo, durate circa due anni e hanno interessato le regioni Toscana, Sicilia, Lombardia, Abruzzo, Lazio e Marche.
Nel corso dell'operazione sono state eseguite diverse perquisizioni locali e personali a Palermo, L'Aquila, Padova e Parma, nei confronti di persone del contesto relazionale dell'indagato, con la collaborazione dei Centri Operativi Dia di Padova, Roma e Palermo e di personale della Polizia Penitenziaria.

L'identificazione "di un altro coautore delle stragi" dimostra "quanto sia produttivo avere la testa dura e continuare a indagare su fatti di età passata, quando sono di questa gravità e quando hanno questi autori. La testa dura è per la fedeltà che abbiamo allo Stato". Lo ha detto il procuratore capo a Firenze, Giuseppe Quattrocchi, in merito alla misura cautelare notificata oggi a Tagliavia. Quattrocchi ha parlato in occasione di una conferenza stampa svoltasi in procura, presenti anche funzionari della Dia di Firenze. ''Noi - ha proseguito - andiamo continuamente cercando tutto ciò che possa contribuire a individuare tutte le responsabilità di questi orribili delitti. Se dovesse emergere qualcosa che getta luce su fatti e personaggi rimasti nell' ombra, se avremo la possibilità di riscontrarla, lo faremo". Poi, riferendosi all'ordinanza notificata oggi "questo momento - ha aggiunto Quattrocchi - ha un suo significato: è il segno dell'attenzione e dell'attività investigativa. Non intendiamo fermarci di fronte a una tragedia di questo tipo", ha aggiunto riferendosi alle stragi del 1993. [Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, AGI, ANSA]

Il boss che parla in codice - Francesco Tagliavia, 56 anni, il nuovo indagato nell'ambito dell'inchiesta sugli attentati del '93, è un esponente di spicco di Cosa Nostra. Il suo nome compare infatti in numerose inchieste di mafia. Affiliato alla cosca di Corso dei mille, una zona alla periferia orientale di Palermo, figlio del "cassiere" di Brancaccio Pietro, Tagliavia è stato condannato all'ergastolo per la strage di via D'Amelio in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta. Accusato di molti omicidi, viene indicato da numerosi pentiti come uno dei killer più spietati della cosca, molto attivo anche nel campo delle estorsioni. Non a caso il suo nome era citato nel libro mastro sequestrato al boss Ciccio Madonia, con l'abbreviazione nemmeno troppo fantasiosa di "Ciccio Taglia", una delle tre persone che gestivano la raccolta del pizzo e delle scommesse clandestine all'ippodromo di Palermo.
La "carriera" criminale di Francesco Tagliavia fu interrotta bruscamente il 22 maggio del 1993, quando venne arrestato in una villa di Torretta, in provincia di Palermo. Ma anche dal carcere avrebbe continuato a dare ordini e a gestire il racket delle estorsioni attraverso i suoi familiari. In particolare impartendo disposizioni alla moglie, Giuseppa Sansone, che fu anche arrestata. La donna era stata inchiodata dalle registrazioni dei suoi colloqui in carcere con il marito. Gli investigatori riuscirono infatti a decrittare il contenuto delle conversazioni in cui il boss si diceva preoccupato per la comparsa di "pesci strani" (nuovi personaggi) che avevano "passato il mare" (erano sconfinati) e ora erano loro a chiedere il "pizzo" ai commercianti. E siccome la cosca era in difficoltà economiche, voleva che il figlio assumesse le iniziative necessarie per risolvere la situazione di quelli che in carcere "muoiono di fame". Alle vittime recalcitranti bisognava dunque far capire che "quando è Natale, è Natale per tutti". Ma dopo la una condanna in primo grado con l'accusa di concorso in associazione mafiosa, Giuseppa Sansone fu assolta in appello, insieme al marito. Secondo i giudici, infatti, l'uso di un linguaggio criptico non implica necessariamente che le conversazioni abbiano come oggetto attività illecite. [ANSA]

- Il boss che brindò dopo l'attentato a Borsellino di U. Lucentini (Corriere.it)

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17 marzo 2010
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