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Un Paese da ''rottamare''

In previsione di impossibili previsioni, la priorità sarebbe mettersi al sicuro

10 aprile 2009

"Per coprire gli investimenti che ci vorranno per la ricostruzione in Abruzzo potremo anche ritardare qualche grande opera, ma non il ponte di Messina". Il premier Berlusconi lo ha ribadito anche ieri, intervistato in un programma tv.  "Il ponte sullo Stretto è un'opera epocale - ha spiegato Berlusconi - di cui la Sicilia ha assoluto bisogno per sentirsi una parte dell'Italia a tutti gli effetti".
Dunque, vada come vada, succeda quel che succeda, il Ponte sullo Stretto rimane priorità tra le priorità.
Eppure ce ne sarebbero cose da iniziare e ultimare prima del ponte, visto che lo Stivale è un Paese ad elevato rischio sismico e visto che sarebbero veramente molti gli immobili, pubblici e privati, da "rottamare". Stando ai dati della Protezione Civile, meravigliosa macchina d'emergenza senza la quale il nostro Paese, mai in regola, svanirebbe prima del tempo, una casa su due in Italia corre il rischio di divenatre inagibile dopo un terremoto. Ovvero: non è stata costruita con le norme antisismiche.

Nel dettaglio: gli edifici privati in Italia sono poco più di 11 milioni (11,2 per la precisione). Di questi circa 7,5 milioni sorgono nelle cosiddette zone soggette a pericolosità sismica (pericolosità variabile da 1 a 3). "E il 73% di queste non è protetto per il terremoto", garantisce Mauro Dolce, direttore dell'ufficio sismico della Protezione civile. Dunque, facendo i calcoli, a rischio sisma sono circa 5,5 milioni di case. Una su due, appunto. E sono queste le case per le quali un intervento di "rottamazione", ovvero interventi per ritrutturazioni o, addirittura, per abbattimenti e nuove costruzioni, sarebbe veramente prioritario.
Il problema riguarda anche circa 75mila edifici pubblici (scuole, ospedali, caserme, municipi). "Ovvero il 75% del totale degli edifici pubblici che ricadono nelle zone cosiddette sismiche", aggiunge il direttore dell'ufficio sismico della Protezione civile.

FOCUS SICILIA (Isabella Napoli, Repubblica.it) - Nel 90 per cento dei comuni siciliani la terra potrebbe tremare. E con violenza. Sono ben 356 le città e i paesi siciliani classificati ad alto rischio sismico. Più del novanta per cento, se si considera che i comuni dell'Isola sono in tutto 390. Da Messina a Menfi, dalla Valle del Belice a Salemi. Paesi dove già in passato il terremoto ha distrutto tutto e paesi dove la terra ha tremato ma senza fare grossi danni. Dal rischio terremoti si salvano solo poche realtà, come Caltanissetta con la sua provincia, alcuni comuni dell'agrigentino e le isole di Lampedusa, Linosa, e Pantelleria.
La mappa del rischio sismico, approvata dalla giunta regionale nel 2004, suddivide paesi e città in quattro zone. C'è la zona 1, la più pericolosa, che racchiude 27 comuni. C'è la zona 2, dove il rischio è elevato, che abbraccia l'ottanta per cento dell'Isola con 329 comuni. E poi ci sono la zona 3, a rischio moderato, che conta solo cinque paesi, e la zona 4, quella a basso rischio, che comprende solo 29 comuni. "In gran parte del territorio siciliano si corrono rischi sismici pari, se non maggiori, a quelli dell'Abruzzo", dice Salvatore Cocina, direttore della Protezione civile regionale, volato in Abruzzo per i soccorsi.

Ma in base a quali parametri i comuni vengono suddivisi in zone? Quali sono gli elementi che rendono un paese o una città meno sicura di un'altra? Dove gli effetti di un terremoto sarebbero più devastanti? Per classificare i comuni, sono stati valutati tre criteri: la conformazione geologica dei territori, in base alle mobilità delle faglie, il numero di edifici non sicuri, cioè realizzati prima della classificazione sismica del comune di appartenenza e il numero di opere infrastrutturali utilizzate da almeno 9-12 anni che ospitano tante persone, come gli ospedali, le scuole, le case di cura. Un terremoto in un paese della zona 4 non creerebbe gli stessi danni di uno che abbia come epicentro un paese di zona 1.
Bastano alcuni esempi numerici per rendersene conto: le scosse in una città di zona 1, Messina per esempio, potrebbe causare danni per almeno 1 milione di euro in un anno. In una città di zona 4, per 100 mila euro. "Sono stime indicative che rendono l'idea - spiega Cocina - Se spalmiamo per ogni anno i morti a causa di terremoti, a Messina se ne contano 100 in 360 giorni a Caltanissetta 1".

La maggior parte dei comuni siciliani ben 329, è in zona 2, cioè a rischio elevato: da Trapani a Palermo, da Agrigento a Catania, da Ragusa a Siracusa. Tra i comuni in zona 2, ce ne sono 89 per i quali vengono previste le stesse limitazioni previste per i comuni che si trovano nella zona rossa. Si tratta di paesi e città che hanno un grosso numero di strutture di "rilevanza strategica": scuole, ospedali, caserme centri di protezione civile. "Edifici strategici che in caso di eventi sismici diventano fondamentali per i soccorsi", continua Cocina che spiega come si dovrebbero leggere e affrontare i dati della mappa del rischio.
"I terremoti, purtroppo, non si possono prevedere - dice il direttore della protezione civile regionale - in una regione ad alto rischio, come la Sicilia, bisogna mettere in sicurezza gli edifici che non lo sono. Quelli che non possono essere messi in sicurezza, dovrebbero essere abbattuti e ricostruiti. A partire dalle strutture pubbliche, come scuole e ospedali. La mappatura del rischio è stata fatta nell'81, dopo il terremoto dell'Irpinia. Tutto quello che è stato costruito negli anni del boom, tra il Cinquanta e il Settanta, non è adeguato". Cocina spiega però che non sempre antico significa insicuro. "Basta pensare alla cattedrale di Catania - conclude - ha attraversato due forti scosse ed è ancora in piedi. In Sicilia orientale alcuni interventi di messa in sicurezza sono stati fatti. La Sicilia occidentale, invece, è ancora indietro".

- "Il fragile cemento delle case d'Abruzzo" di Carlo Bonini

- "Viaggio nel palazzo della morte" di Attilio Bolzoni

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10 aprile 2009
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