Crea gratis la tua vetrina su Guidasicilia

Acquisti in città

Offerte, affari del giorno, imprese e professionisti, tutti della tua città

vai a Shopping
vai a Magazine
 Cookie

Un pranzo indigesto...

E' scontro aperto tra il premier Berlusconi e il presidente della Camera Gianfranco Fini

16 aprile 2010

Ebbene, la realtà è ormai davanti agli occhi di tutti: tra il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il presidente della Camera Gianfranco Fini è scontro aperto.
Tutto si è palesato ieri, nella giornata che doveva servire al chiarimento e che invece è finita con parole ed affermazioni che a tutti sono suonate come minacce e ultimatum ai limiti della crisi istituzionale. Certo, i chiarimenti possono anche presentarsi così.

I due leader del Pdl si sono incontrati ieri a pranzo. "Ho mangiato benissimo...", aveva risposto Silvio Berlusconi ai giornalisti che gli chiedevano come fosse andato il colloquio con Gianfranco Fini. Un pranzo durato due ore che non è però bastate per dissipare le tensioni tra i due. Anzi: si sono lasciati con freddezza. Il numero uno di Montecitorio avrebbe consegnato un messaggio molto chiaro, che va ripetendo da tempo dopo le regionali: non ci si può appiattire sulla Lega, perché così si indebolisce il Pdl che deve rimanere forza trainante del centrodestra e non può farsi dettare l'agenda dal Carroccio. Una posizione subordinata nei confronti del Senatur sarebbe un danno anche per lo stesso Berlusconi. Anche ieri Bossi, proprio mentre era in corso il pranzo tra i cofondatori del Popolo della libertà, ha ribadito che il suo partito vuole contare nei salotti buoni della finanza nordista.
Da parte di Fini non ci sarà nessuna delega in bianco a favore dell'asse Berlusconi-Bossi, dunque, si è detto pronto a costituire suoi gruppi autonomi in Parlamento. Berlusconi avrebbe chiesto 48 ore di riflessione e replicato con altrettanta durezza: "Se lo farai, l'inevitabile conseguenza dovrebbe essere quella di dover lasciare la presidenza. E chi porta avanti iniziative autonome è naturalmente fuori dal partito". Successivamente, dal Pdl arriverà una smentita anonima secondo la quale il Cavaliere non avrebbe mai parlato della necessità che Fini si dimetta.

Comunque, dopo il pranzo con Berlusconi, Fini si è riunito con i "suoi" ex An. Nello studio del presidente della Camera, il presidente vicario del Pdl a Montecitorio Italo Bocchino, il vicecapogruppo Carmelo Briguglio, il viceministro e segretario generale di FareFuturo Adolfo Urso e il sottosegretario all'Ambiente Roberto Menia, raggiunti poi da Giulia Bongiorno, presidente della Commissione Giustizia della Camera, e da Flavia Perina, direttore del Secolo d'Italia e parlamentare Pdl vicina a Fini.
Al termine della riunione Fini ha diffuso un comunicato che suona come un richiamo alle responsabilità del premier e del partito ma che, di fatto, conferma quanto raccontato dalle fonti di maggioranza. I toni sono attenti e sottolineano più volte che Fini non vuole mettere in crisi la maggioranza alla quale conferma fedeltà: "Berlusconi deve governare fino al termine della legislatura perché così hanno voluto gli italiani - la premessa del presidente della Camera - il Pdl, che ho contribuito a fondare, è lo strumento essenziale perché ciò avvenga. Pertanto il Pdl va rafforzato, non certo indebolito. Ciò significa scelte organizzative, ma soprattutto presuppone che il Pdl abbia piena coscienza di essere un grande partito nazionale, attento alla coesione sociale dell'intero Paese, capace di dare risposte convincenti ai bisogni economici del mondo del lavoro e delle famiglie, garante della legalità e dei diritti civili, motore di riforme istituzionali equilibrate e quanto più possibile condivise. Ho rappresentato tutto ciò al presidente Berlusconi. Ora egli ha il diritto di esaminare la situazione e io avverto il dovere di attendere serenamente le sue valutazioni".

Chi sta accanto a Fini ha assicurano che non c'è da parte del presidente della Camera nessuna intenzione di forzare, ma la volontà di far valere fino in fondo le proprie ragioni per un maggior equilibrio interno. Intanto sarebbe già stato scelto un nome, a quanto appreso dall'Adnkronos, per il gruppo autonomo a cui pensa Gianfranco Fini e che potrebbe nascere tra 48 ore: 'Pdl Italia'.
Fini avrebbe chiesto un'assemblea del partito da convocare in tempi brevissimi. Una riunione in cui ridiscutere il patto formativo, ridisegnare gli equilibri interni, perché il partito torni a essere centrale, risolvendo i nodi più spinosi, tra i quali quello delle riforme istituzionali e quello della Sicilia.
Infatti, proprio quest'ultimo nodo, lo "spinoso nodo Sicilia", è servito come esempio al presidente della Canera per far capire bene ai suoi cos'è che non va nell'attuale Pdl. "Con calma, ho posto a Berlusconi solo questioni politiche, alle quali non mi ha saputo rispondere. O meglio, ha risposto a tutto, dicendo sempre 'va tutto bene'. Invece non va bene per niente e basta vedere cosa è successo in Sicilia, dove da un anno e mezzo viene tollerata una situazione che, in qualsiasi altra organizzazione, avrebbe portato a una decisione". Proprio il 'caso Sicilia', con lo sdoppiamento del Pdl in due tronconi, l'un contro l'altro armati, per Fini è paradigma di cosa il Cavaliere pensi dei partiti: "Li considera meno di zero. Io invece li ho sempre considerati con rispetto e il nodo, alla fine, è venuto al pettine". Un esempio che vale anche per gli altri campi: "I problemi vanno affrontati - ha spiegato Fini ai tanti che, in processione, sono andati a trovarlo - non si può nasconderli sotto il tappeto come fa Berlusconi, far finta che non esistano". Questioni che il presidente della Camera non ha posto solo ieri. "Sono settimane che gli dico le stesse cose, in privato, in pubblico e attraverso intermediari. E lui mi ha risposto schivando i problemi. Diceva: questo lo risolviamo. Oppure: non è come dice Fini. O peggio: ma Fini dove va? Sono solo quattro gatti, sono dei fighetti".

Be', stando alla conta fatta subito dai finiani, non sono esattamente "quattro gatti" perché il loro gruppo potrebbe toccare la soglia. I numeri minimi per costituire gruppo sono di venti deputati alla Camera e dieci senatori a Palazzo Madama. Alla Camera, tra gli esponenti della vecchia Alleanza Nazionale di sicuro rito finiano si possono enumerare Donato Lamorte, Francesco Proietti, Angela Napoli, Silvano Moffa, Riccardo Migliori, Mirko Tremaglia, Basilio Catanoso, Giuseppe Scalia, Antonino Lo Presti. Ai quali vanno aggiunti i "nuovi finiani" come Gianfranco Paglia o Fabio Granata. Aggiungendo questi deputati agli altri ieri riunitisi nello studio di Fini a Montecitorio, il numero minimo di venti componenti è superato.
Al Senato, per fare gruppo servono dieci senatori. E come finiani possono essere reclutati Pasquale Viespoli, Filippo Berselli, Luigi Ramponi, Pierfrancesco Gamba, Laura Allegrini, Antonino Caruso, Giuseppe Valentino, Mario Baldassarri, Domenico Gramazio, Domenico Benedetti Valentini, Vincenzo Nespoli. Anche al Senato la soglia dei dieci è superata. Insomma, se Fini vuole il "Pdl-Italia" può costituirsi e, secondo fonti finiane, i deputati che vi aderirebbero sarebbero 50 e 18 i senatori.

L'atteggiamento di Fini ha provocato "amarezza", ed è "sempre più incomprensibile", ai coordinatori del Pdl Ignazio La Russa, Denis Verdini e Sandro Bondi che in una nota congiunta, diffusa al termine di un incontro con Berlusconi, hanno scritto: "Le recenti elezioni regionali e amministrative hanno riconfermato la validità politica della decisione di dar vita al Pdl, traguardo storico irreversibile. Gli italiani, dimostrando anche in questa occasione maturità ed intelligenza, hanno premiato l'azione del governo e creato le migliori condizioni per proseguire sulla strada delle riforme che abbiamo intrapreso e dell'ulteriore rafforzamento del nostro partito". "Da queste inoppugnabili considerazioni - continua ancora la nota - nasce la nostra profonda amarezza per l'atteggiamento dell'onorevole Gianfranco Fini che appare sempre più incomprensibile rispetto ad un progetto politico comune per il quale abbiamo lavorato concordemente in questi ultimi anni, un progetto di importanza storica che gode di un consenso maggioritario nel popolo italiano. Come dimostrano il successo alle politiche del 2008, le elezioni amministrative, nelle quali il centrodestra è passato ad amministrare la maggioranza delle province italiane, e le regionali che ci hanno visto passare in questi anni dal governo di 4 regioni a quello di 11 regioni".
Ieri sera, infine, sono arrivate le chiarissime parole del presidente del Senato, Renato Schifani: "Se la maggioranza si divide, si torna al voto".

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Ansa, Repubblica.it]

«Il Pdl è un progetto comune, non è possibile appiattirlo sulla Lega»
Fabio Granata intervistato da Francesca Schianchi
"La situazione è oggettivamente grave". Il deputato finiano Fabio Granata non nasconde la gravità del momento nel Pdl. "Fini - spiega - ha parlato con franchezza a Berlusconi: il Pdl è un progetto comune, ma non è possibile delegarlo a un appiattimento sulla Lega. Si sono dati 48 ore per riflettere: la richiesta è chiara e non può essere elusa da parte del premier con una generica rassicurazione. Se Fini non trova modo per incidere sulla linea del governo, allora l’unica arma è tornare a un’autonomia in Parlamento, gruppi che ci lascino le mani libere su alcuni temi per fare da contrappeso alla Lega".

Ma quanti potreste essere a fare parte di questi gruppi?
"Se si arriverà a questo punto si parte da 40-45 deputati e 15-18 senatori. Ma io vorrei fosse chiara una cosa: An aveva il 13-15%, nel 2007 portò in piazza un milione di persone vere, mica come a San Giovanni che erano 150 mila. Questa comunità, nobile e antica, è stata donata al progetto del Pdl. Perché Fini non dovrebbe chiedere il rispetto delle nostre idee, della nostra impostazione? E se pensano di intimidirci dicendo che Gianfranco deve abbandonare la presidenza della Camera, allora si rompe un progetto di maggioranza".

Addirittura, guardi che pare che Berlusconi abbia detto proprio questo…
"So che la frase è stata smentita, io spero davvero che non sia mai stata pronunciata. Perché noi non mettiamo in dubbio il governo né la premiership di Berlusconi, ma se qualcuno afferma che Fini allora dovrebbe dimettersi da presidente della Camera, ripeto, si rompe un patto politico e a quel punto abbiamo tutti le mani libere".

Si dice anche che la minaccia sia: "Se fate i vostri gruppi parlamentari, uscite dal Pdl"…
"È strano che qualcuno possa espellere qualcun altro: noi non abbiamo sottoscritto un’adesione al Pdl, noi l’abbiamo cofondato. L’idea di espellere qualcuno implica una sorta di suggestione psicologica, An annessa nel Pdl da Forza Italia, che hanno alcuni ex colonnelli di An. Ma ho l’impressione che per loro fosse così prima ancora che si sciogliesse An".

Non teme che un’iniziativa simile sia un danno per tutto il centrodestra? Il presidente Schifani già dice che si rischia di tornare al voto.
"Vedo che c’è un fuoco di fila di dichiarazioni che non aiutano la ricomposizione. Fini non ha mai messo in discussione il governo, ma l’equilibrio del governo. Siamo consapevoli che tutti si devono assumere delle responsabilità: i problemi che poniamo sono politici, sulla fisionomia che deve avere il Pdl, alleato ma distinto dalla Lega". [La Stampa]

 

 

Condividi, commenta, parla ai tuoi amici.

16 aprile 2010
Caricamento commenti in corso...

Ti potrebbero interessare anche

Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia