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La Camera ha detto no alla sfiducia al ministro delle politiche agricole Saverio Romano Aula respinge mozione di sfiducia

29 settembre 2011

La Camera ha detto no alla sfiducia individuale al ministro delle politiche agricole Saverio Romano. Hanno votato sì alla mozione 294 deputati, mentre i no sono stati 315. Ventuno i deputati assenti, tra i quali i 6 radicali più Marianna Madia che ieri ha partorito. Una decisione, quella della pattuglia radicale, che ha scatenato l'ira dei democratici. Così oggi, nel direttivo del Gruppo, si valuterà l'espulsione ("E' stato un comportamento incomprensibile e intollerabile" ha detto il capogruppo Dario Franceschini).

Questi voti "non sono a mio favore, ma sono contro questa mozione", ha detto Romano subito dopo il voto. "Il dato positivo è che abbiamo raggiunto una maggioranza qualificata nonostante numerose assenze" per motivi giustificati, ha tenuto a precisare Romano.
Durante il suo intervento alla Camera, Romano - che ha definito "odiosa" la mozione - ha detto: "L'ordine giudiziario ha soverchiato il Parlamento e ne vuole condizionare le scelte". "Mi sarei aspettato - ha detto ancora - un atto ispettivo", per capire "come mai un uomo che svolge una funzione pubblica possa essere stato tenuto otto anni sulla graticola". "Io e i miei familiari fino alla settima generazione siamo incensurati", ha affermato poi il ministro che ha partecipato al voto ("Si tratta di una mozione del Pd, e io voterò la mozione dei democratici"). "L'accusa grave e importante a cui molti di voi fanno riferimento - ha aggiunto - è un titolo di reato privo di sostanza perché per ben tre volte lo ha stabilito il pm procedente".
Romano si è soffermato quindi sulla sua vicenda giudiziaria. "Non sono mai stato rinviato a giudizio, non ho mai subito un processo né una condanna. Questa indagine inizia nel 2003 e si conclude nel 2005 con un'archiviazione e il sottoscritto un mese dopo diventa sottosegretario al Lavoro nel governo Berlusconi. Sei mesi dopo, grazie alle propalazioni di Campanella, vengo reinscritto nel registro degli indagati e questa indagine dal 2005 spira nel novembre del 2007. Dal novembre del 2007 al novembre del 2010 nessuna attività. Un uomo politico dopo otto anni ha diritto di conoscere cosa realmente è accaduto in quel tempo? Perché se è stato fatto un processo in mia assenza in altri processi è cosa ancora più grave". "Questo dimostra comunque la malattia del nostro sistema giudiziario: perché se per otto anni quest'uomo politico è stato tenuto libero, la giustizia ha fallito; se invece è stato tenuto sulla graticola, e non doveva, per otto anni, a me sembra un tempo interminabile". "In questa occasione - ha sottolineato Romano - anziché ostinarci a guardare il dito sarebbe il momento di guardare alla luna. Vi è una perdita più o meno consapevole della centralità del Parlamento nel nostro sistema democratico". Il ministro ha puntato il dito contro "la finanza senza controllo" che "può decidere o meno le sorti di un governo"; contro "il potere editoriale e mass-mediatico", visto "che in questi mesi sono stato oggetto di una campagna di aggressione che non auguro a nessuno, spesso con delle grossolane inesattezze. Una disinformatia alla quale io non mi abituerò mai e che ho il dovere di denunciare". Ma è stato soprattutto l'"ordine giudiziario" a finire nel mirino di Romano, che "nel tempo è diventato centrale nella vita democratica del nostro Paese, ha soverchiato il Parlamento, ne vuole condizionare le scelte. Il potere deve comunque corrispondere alla responsabilità, nel nostro Paese questi tre poteri non sono minimamente collegati a nessuna responsabilità".

Durissimo l'intervento di Antonio Di Pietro in Aula: "In questo governo c'è un ministro, accusato di mafia, che non si dimette. E' grave che il ministro Maroni, che ogni giorno scioglie i consigli comunali per fatti del genere, oggi voterà insieme a tutta la Lega la fiducia a questo governo, nonostante vi sia una persona accusata di mafia". "Ma fate attenzione - ha detto l'ex pm puntando il dito al governo - voi siete solo il Paese formale, siete un governo pieno di soggetti politici che intendono mandare il Paese alla rivolta sociale. Dall'altra parte c'è il Paese reale che è alla disperazione e sta per arrivare alla violenza. E i mandanti siete voi". "Il 14/12 il governo che non aveva voti andò a cercarli e trovò dei 'quaquaraqua' disposti a sostenerlo. Lei, che 'quaquaraqua' non è, pretese di diventare ministro e lo divenne. Lei ora sta violentando il Parlamento. Chiede a questo Parlamento un voto di scambio, chiede al Parlamento di comportarsi come in un'associazione criminale", ha detto, poi, rivolto a Romano.
"Al mondo agricolo della odierna mozione di sfiducia, contro cui voteremo, non frega nulla". Così Sebastiano Fogliato ha espresso la posizione della Lega, ribadendo che l'agricoltura "è fondamentale per il Paese", e parlando solo dei problemi del settore. "Di questo vorremmo occuparci", non di "una mozione strumentale solo per abbattere il governo", ha detto.
Durissimo contro il Carroccio, Antonello Soro del Pd: "La Lega nei primi anni '90 esibiva il cappio come il simbolo della sua idea di legalità. E' difficile non registrare il cambiamento. I parlamentari della Lega votano in contrasto con la legalità e con il sentimento della onestà, ma è certo che la Lega si è allontanata dai suoi valori originari e oggi si schiera con un inquisito per mafia".
All'interno della maggioranza, singolare presa di posizione del leader di Pri, Francesco Nucara, che prima del voto ha spiegato: "Se fosse possibile manderei a casa Romano, ma se il mio voto dovesse essere determinante, voterò 'no' così (mimando il gesto di turarsi il naso, ndr)".

Subito dopo il voto, Romano ha incontrato il presidente del Consiglio. Berlusconi si è detto "molto soddisfatto, anche perché ci sono stati 315 voti con le assenze giustificate e questo significa che la maggioranza è a 325 e si possono fare le riforme". Nessun festeggiamento stasera, ma si continua a lavorare, ha aggiunto il ministro: "Domani sarò prima in commissione alla Camera e poi al Senato".
"C'è una sensazione di distacco enorme" tra il Parlamento "e il Paese" e c'è la "sensazione che la maggioranza non capisca che questa immagine del palazzo arroccato a difesa dei suoi privilegi rischia di creare una frattura insanabile", ha affermato Massimo D'Alema. "Romano, che è una persona intelligente, dovrebbe capire che la richiesta di farsi da parte" per un ministro che è coinvolto in vicende così gravi "è una richiesta normale". "Per molto meno - ha ricordato il presidente del Copasir - Scajola si è dimesso, Brancher si è dimesso".
"Il governo Berlusconi e questa maggioranza hanno calpestato la dignità dell'Italia e ogni giorno che passa mettono un abisso tra le istituzioni dai cittadini", è stato il commento del leader dei Verdi, Angelo Bonelli.
Uscendo dal palazzo di Montecitorio, il ministro delle Riforme Umberto Bossi ha definito il voto "normale". Tuttavia ha attaccato i magistrati affermando che "sono i primi a far casino, prima dicono sì e poi non vogliono mandare avanti il processo".

Le accuse della Procura di Palermo al ministro Romano - L'atto con cui i pm hanno chiesto il suo rinvio a giudizio per concorso in associazione mafiosa è lungo una paginetta, ma la mole di carte che formano il fascicolo di indagine sul ministro dell'Agricoltura Saverio Romano è ben più pesante. E va crescendo mano a mano che il pentito Stefano Lo Verso, ultimo dei collaboratori di giustizia a parlare del politico dei Responsabili, aggiunge tasselli al mosaico di indizi che, per la Procura di Palermo, proverebbero la vicinanza del ministro alle cosche per oltre 20 anni.
"Costretti" dal provvedimento di imputazione coatta del rigetto della richiesta di archiviazione del gip a formulare le accuse - in un primo tempo i pm ritenevano di non aver elementi sufficienti a sostenere l'accusa in giudizio - i magistrati contestano a Romano di avere "nella sua veste di esponente politico di spicco, prima della Dc e poi del Ccd e Cdu e, dopo il 13 maggio 2001, di parlamentare nazionale, consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno ed al rafforzamento dell'associazione mafiosa, intrattenendo, anche al fine dell'acquisizione del sostegno elettorale, rapporti diretti o mediati con numerosi esponenti di spicco dell'organizzazione tra i quali Angelo Siino, Giuseppe Guttadauro, Domenico Miceli, Antonino Mandalà e Francesco Campanella".
Secondo il pm, inoltre, il ministro avrebbe "messo a disposizione di Cosa nostra il proprio ruolo, contribuendo alla realizzazione del programma criminoso dell'organizzazione tendente all'acquisizione di poteri di influenza sull'operato di organismi politici e amministrativi".
In particolare, nella richiesta il pm Nino Di Matteo fa cenno all'interessamento di Romano a candidare, su input del boss Guttadauro, Mimmo Miceli, poi condannato per mafia, alle regionali del 2001. E ancora, insieme all'ex governatore siciliano Totò Cuffaro, in carcere per favoreggiamento aggravato, avrebbe assecondato le richieste del capomafia Nino Mandalà (ieri condannato a 8 anni in appello) inserendo Giuseppe Acanto nelle liste dei candidati del Biancofiore per le regionali del 2001, "nella consapevolezza di esaudire desideri di Mandalà e, più in generale, della famiglia mafiosa di Villabate".
Accuse ribadite da diversi pentiti come l'ex presidente del consiglio comunale di Villabate Francesco Campanella e recentemente da Stefano Lo Verso, che racconta di aver saputo proprio da Mandalà dei legami tra la cosca e Romano.
Sulla richiesta di rinvio a giudizio il gip Fernando Sestito si pronuncerà il 25 ottobre, mentre il 3 ottobre un altro giudice, Piergiorgio Morosini, deciderà se trasmettere alla Camera la richiesta di autorizzazione all'uso delle intercettazioni disposte nelll'ambito di un'altra indagine a carico del ministro: quella che lo vede accusato di corruzione aggravata dall'avere favorito la mafia. L'inchiesta riguarda il cosiddetto tesoro dell'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino. Il ministro, indagato insieme al senatore del Pdl Carlo Vizzini e a Cuffaro, avrebbe intascato una tangente di 50 mila euro legata agli appalti vinti dalla società Gas, "gioiello" della famiglia Ciancimino.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, Repubblica.it, Ansa]

- Quattro politici siciliani indagati per il "tesoro di Ciancimino" (Guidasicilia.it, 11/06/09)

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29 settembre 2011
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