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Un summit finito male...

Summit di mafia interrotto a Catania e catturato il superlatitante reggente del clan Ercolano-Santapaola

09 ottobre 2009

Nel summit, interrotto ieri sera dai carabinieri del reparto operativo del comando provinciale di Catania in un casolare di campagna nella zona di Belpasso, era riunito il gotha della famiglia Santapaola e dei suoi alleati, ai vertici di Cosa nostra nella Sicilia orientale.
Nel blitz i militari dell’Arma hanno arrestato personaggi di rilievo della cosca come il superlatitante Santo La Causa, ritenuto il capo dei capi nella provincia etnea, il cui nome era inserito nella lista dei 30 ricercati più pericolosi d’Italia, condannato all’ergastolo per omicidio e associazione mafiosa. Con lui c’erano anche il latitante Carmelo Puglisi, che era nella lista dei 100 latitanti di maggiore spessore del Paese, ed è accusato di avere avuto un ruolo negli attentati nei cantieri di Andrea Vecchio, l’imprenditore che si è opposto pubblicamente al racket delle estorsioni.
Oltre a La Causa e Puglisi, anche due pezzi da novanta della mafia di Catania: Enzo Aiello, sorvegliato speciale, indicato come uno degli elementi più fidati di Eugenio Galea e vicini al boss Benedetto Santapaola, e Venerando Cristaldi, fratello di Salvatore, considerato uno dei capi storici della cosca nel rione Picanello. Tra i fermati c'è anche Sebastiano Laudani, ritenuto ai vertici del clan noto come "Mussu di ficurinia" e Saro Tripodi.
Nel corso dell'operazione i carabinieri di Catania, che si sono avvalsi della collaborazione dei colleghi del Ros, hanno anche fermato due incensurati accusati di essere i fiancheggiatori dei presunti boss. Durante le fasi concitate della cattura militari dell'Arma avrebbero esploso dei colpi di arma da fuoco a scopo intimidatorio. Gli investigatori hanno definito il covo come 'volante'. Si tratta infatti di una casa messa a disposizione per il summit da uno dei partecipanti. La riunione tra i boss era fissata per le ore 18, e i partecipanti, poi arrestati, sono arrivati uno alla volta a partire dalle 17. Poco dopo le 18 i carabinieri hanno fatto irruzione.

Una riunione di 'altissimo livello criminale', dunque quella interrotta dai carabinieri durante la quale si stavano forse mettendo a punto le strategie di intervento contro le cosche rivale che si stanno espandendo toccando territori di Cosa nostra. "Da tempo abbiamo registrato delle fibrillazioni all'interno della cosca Santapaola - ha spiegato il procuratore capo di Catania, Vincenzo D'Agata - per la crescita eccessiva della cosca rivale dei Cappello in città. Un summit di questa portata significa che si stavano studiando strategie di risposta di altissimo livello". "L'oggetto del summit, tenuto conto del particolare momento che attraversa la criminalità catanese, i venti di guerra che spirano sul capoluogo etneo, aveva una duplice finalità: organizzazione di carattere difensivo e offensivo", ha spiegato ancora D'Agata. "Non parliamo di fatti specifici perché, innanzitutto, l'indagine non lo consentirebbe ma tenendoci sulle linee generali, possiamo dire che certamente c'era lo studio e la preordinazione di strategie di offesa e di difesa". Parlando di La Causa, D'Agata ha detto: "Si tratta di un personaggio di vertice, del soggetto che in atto è il responsabile operativo del clan Santapaola, latitante da parecchio tempo e si tratta, dunque, di un personaggio di alto profilo la cui cattura non rappresenta un fatto di trascurabile importanza per l'operatività del gruppo Santapaola".

Santo La Causa, 44 anni, era indicato come il reggente della 'famiglia' Ercolano-Santapaola, condannato all'ergastolo per omicidio. Sono diversi i pentiti che lo descrivono come il "capo di tutti i gruppi di Cosa nostra a Catania" in dipendenza gerarchica dalla famiglia Ercolano-Santapaola.
Secondo un collaboratore di giustizia, La Causa, ex affiliato alla cosca Ferrera transitato nel clan Santapaola, era "uno in grado di fare tremare Catania, per carisma e intelligenza". La sua nomina a reggente sarebbe stata decisa dal carcere. A lui, sostiene l'accusa, facevano riferimento tutti i capisquadra dei rioni di Catania e provincia. Era il collettore delle estorsioni, assegnava stipendi e avvicinava parenti dei pentiti per convincerli ad interrompere la collaborazione.
Carmelo Puglisi, 33 anni, il secondo latitante catturato dai carabinieri del reparto operativo di Catania, si era reso irreperibile nell'ottobre del 2007, quando sfuggì all'operazione scattata dopo tre attentati in cantieri edili di Andrea Vecchio, compiuti dopo che l'imprenditore si era opposto a una richiesta di estorsione rendendo anche pubblico il suo 'no' al racket del pizzo. Per quegli episodio Puglisi è stato rinviato a giudizio mentre un suo presunto complice, Luciano Musumeci, è stato condannato a 8 anni e 8 mesi di reclusione per tentativo di estorsione.
Secondo l'accusa Puglisi e Musumeci sarebbero stati vicini ad Angelo Santapaola, nipote del capomafia Benedetto, che avrebbe accelerato la sua crescita nel suo clan ma che per l'eccessiva visibilità delle sue azioni e per le sue sempre più crescenti ambizioni sarebbe stato ucciso, assieme al suo guardaspalle, Nicola Sedici, proprio dalla sua cosca.

"Gli italiani sono orgogliosi dei loro carabinieri", ha commentato il ministro della Difesa Ignazio La Russa esprimendo al comandante generale dei carabinieri Leonardo Gallitelli "vivissimo compiacimento". Per il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, "la cattura di La Causa e Puglisi è una delle più belle operazioni degli ultimi venti anni fatta nella Sicilia orientale". Secondo il ministro alla Giustizia, Angelino Alfano, l'operazione "è un'ulteriore dimostrazione che il Governo sta operando nella giusta direzione nella lotta alla criminalità organizzata, nel comune intento di debellare definitivamente il Paese dal giogo mafioso".

[Informazioni tratte da Ansa.it, La Siciliaweb.it, LiveSicilia.it, Adnkronos/Ing, Corriere.it]

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09 ottobre 2009
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