Un'urbanizzazione dissennata in un territorio fragile
Oltre 6 milioni di italiani sono esposti ogni giorno al pericolo di frane, alluvioni, terremoti
Fragile e delicato, il territorio italiano è costantemente minacciato dai terremoti, dalle alluvioni e dalle frane. Tutto ciò a causa, sicuramente, della sua intriseca natura, certamente per colpa del cambiamento climatico, e colpevolmente per via della dissennata urbanizzazione che nei decenni ha trasformato luoghi assolutamenti impropri in zone densamente atropizzate.
Scenario di svariate tragedie il nostro Paese, gli italiani con troppa facilità indirizzano le loro maledizioni al tempo (inteso quello metereologico) e con stupidità maledicono il giorno in cui venne giù quell’acquazzone che fece franare il monte, che seppellì quel quartiere, che distrusse quella scuola, che provocò quelle morti. La verità è però un’altra, il problema, infatti, non sta nel tremendo acquazzone, né tanto meno nel monte franato, ma nel posto dove quelle case, quelle scuole, sono state costruite, nel disprezzo di qualsiasi criterio e ignorando totalmente il buon senso.
In Italia, soltanto 55 amministrazioni hanno intrapreso azioni di delocalizzazione di abitazioni dalle aree esposte a maggiore rischio idrogeologico e in appena 27 comuni si è provveduto a delocalizzare insediamenti industriali. Ancora in ritardo anche le attività finalizzate all'informazione dei cittadini (dichiarano di farle in 472 comuni), essenziali per preparare la popolazione ad affrontare situazioni di emergenza. Questi dati emergono da Ecosistema Rischio 2013, il dossier annuale di Legambiente e Dipartimento della Protezione Civile che ha monitorato le attività per la mitigazione del rischio idrogeologico di oltre 1.500 amministrazioni comunali italiane tra quelle in cui sono presenti zone esposte a maggiore pericolo.
In particolare, dal rapporto emerge che, nonostante l'urbanizzazione delle aree più fragili ed esposte a rischio nella nostra Penisola sia molto pesante, non si nota purtroppo una seria inversione di tendenza nella gestione del territorio.
Il 64% dei comuni intervistati (872 amministrazioni) ha dichiarato di svolgere regolarmente un'attività di manutenzione ordinaria delle sponde dei corsi d'acqua e delle opere di difesa idraulica, e 905 comuni (il 67%) confermano che nei propri territori sono stati realizzati interventi di messa in sicurezza. Questi ultimi, tuttavia, non sempre sono efficaci: le attività di messa in sicurezza riferite dai comuni intervistati, infatti, sono state volte soprattutto alla costruzione di nuove arginature o all'ampliamento di arginature già esistenti (in 460 comuni, il 34% dei rispondenti); solo il 9% (122 comuni intervistati) ha affermato di aver provveduto al ripristino e alla rinaturalizzazione delle aree di espansione naturale dei corsi d'acqua e solo nel 6% dei casi di aver riaperto tratti tombinati o intubati dei corsi d'acqua.
Da notare, inoltre, che in soli 68 comuni oggetto dell'indagine si è provveduto al rimboschimento di versanti montuosi e collinari franosi o instabili (5% del campione), mentre in 406 le attività di messa in sicurezza hanno previsto opere di risagomatura dell'alveo fluviale (il 30% dei comuni del nostro campione). In 687 amministrazioni rispondenti (51%) sono stati realizzati interventi di minore entità volti alla messa in sicurezza del territorio da parte della stessa amministrazione, senza l'ausilio di altri soggetti istituzionali.
Migliore la situazione per quanto riguarda l'organizzazione del sistema locale di protezione civile, fondamentale per rispondere alle emergenze in maniera efficace e tempestiva. L'85% dei comuni (1.148 amministrazioni fra quelle che hanno partecipato all'indagine) si è dotato di un piano di emergenza da mettere in atto in caso di frana o alluvione. Tuttavia, soltanto 733 comuni tra quelli che hanno risposto al questionario (il 54% del totale) ha dichiarato di aver aggiornato il proprio piano d'emergenza negli ultimi due anni, il che significa che troppi avrebbero a disposizione un piano vecchio in caso di necessità.
La legge 100 del 2012, attraverso la quale sono state disposte alcune misure per la riorganizzazione del sistema di protezione civile, ha nuovamente ribadito l'obbligo, per le amministrazioni comunali, di adottare un piano d'emergenza entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge stessa (ottobre 2012), mentre, ad oggi, alcuni comuni continuano a non adempiere a questo importante compito o dispongono comunque di strumenti non adeguati per affrontare eventuali emergenze nel territorio. Sono 934 i comuni (il 69%), inoltre, che riferiscono di aver recepito il sistema di allertamento regionale: un importante passaggio per far sì che il territorio sia informato con tempestività su eventuali situazioni di allerta e pericolo.
Le amministrazioni comunali italiane sono ancora in ritardo nelle fondamentali attività di informazione rivolte alla popolazione: se i cittadini sono informati, se sanno cosa fare e dove andare durante una situazione di emergenza, e se non si espongono a rischi ulteriori, certamente la gestione dei momenti di criticità è facilitata. Soltanto il 35% dei comuni intervistati (472) ha affermato di aver organizzato iniziative dedicate all'informazione dei cittadini, mentre 432 comuni (il 32%) hanno confermato di aver realizzato esercitazioni per testare l'efficienza del sistema locale di protezione civile.
Un ritardo particolarmente rilevante visto che i piani d'emergenza, per essere realmente efficaci, devono essere conosciuti dalla popolazione. Complessivamente, sono ancora troppe le amministrazioni comunali italiane che tardano a svolgere un'efficace politica di prevenzione, informazione e pianificazione d'emergenza. Appena il 49% dei comuni intervistati (664) svolge un lavoro positivo di mitigazione del rischio idrogeologico, mentre il 16% delle amministrazioni campione dell'indagine (218) risulta gravemente insufficiente.
Con le dovute diversità relative all'effettiva entità del rischio tra zona e zona, sono oltre seicento le amministrazioni comunali che risultano svolgere un lavoro di prevenzione del rischio idrogeologico ancora sotto la sufficienza. Dati che confermano come sia ancora lunga la strada da percorrere per garantire la sicurezza della popolazione da frane e alluvioni.
Sono Calenzano (Fi), Agnana Calabra (Rc) e Monasterolo Bormida (At), i tre i comuni più virtuosi nelle attività di mitigazione del rischio idrogeologico. In tutti e tre i comuni sono state avviate le procedure per la delocalizzazione di strutture presenti nelle aree esposte a maggiore pericolo, è stata realizzata una manutenzione ordinaria dei corsi d'acqua e delle opere di difesa idraulica, sono stati realizzati interventi di messa in sicurezza e si è provveduto all'organizzazione di un efficiente sistema locale di protezione civile.
L'altra faccia della medaglia è rappresentata da tre comuni che ottengono un punteggio particolarmente basso: San Pietro di Caridà (Rc), Varsi (Pr) e San Giuseppe Vesuviano (Na). In tutti questi comuni è presente una pesante urbanizzazione delle zone esposte a pericolo di frane e alluvioni e non sono state avviate sufficienti attività mirate alla mitigazione del rischio, né dal punto di vista della manutenzione del territorio, né nell'organizzazione di un efficiente sistema comunale di protezione civile.
Tra i capoluoghi di Regione e delle due Province Autonome sono 14 quelli che hanno risposto in modo completo al questionario di Legambiente. Tra questi, la città prima classificata è Bolzano, che ottiene un 8 in pagella e conferma il risultato positivo ottenuto anche nella precedente edizione dell’indagine, dovuto all'assenza di strutture in aree a rischio e all'organizzazione del sistema locale di protezione civile. [Adnkronos/Prometeo, Legambiente.it]