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Un voto contro il terrore

In Iraq, nonostante l'offensiva terroristica, si è recato alle urne il 60% degli aventi diritto al voto

31 gennaio 2005

Le prime stime parlano di 8 milioni di iracheni che si sono recati ieri alle urne per votare. 8 milioni corrisponde a poco più del 60 per cento degli iscritti nelle liste.
In un primo momento si era parlato di un'affluenza vicina al 72%. La cifra esatta la si avrà comunque solo dopo il conteggio delle schede. Per i risultati preliminari saranno necessari circa sette giorni, almeno dieci per quelli finali.

Un traguardo di massima importanza, perché la voglia di decidere del futuro del proprio paese, che in quegli 8 milioni ha prevalso sulla paura delle bombe di Al Zarqawi, si è letto con estrema chiarezza.
Un voto contro le bombe che ieri hanno causato, in diverse città dell'Iraq, 36 morti - 30 civili e 6 poliziotti - e oltre novanta feriti. Il peggiore attacco è stato quello nella zona est di Bagdad, dove un kamikaze si è fatto esplodere in mezzo alla gente che faceva la fila davanti al seggio, uccidendo sei persone. In tutto nella capitale, in sei ore, sono stati registrati almeno nove attacchi suicidi in altrettanti centri elettorali, presi di mira anche a colpi di mortaio.
Un voto contro le minacce lanciate ancora ieri dal capo di Al Qaeda in Iraq, Al Zarqawi.
Un voto che è la voglia di cambiare, dimostrata anche dalle tante donne che per la prima volta hanno avuto il diritto al voto.

L'affluenza maggiore si è avuta nelle città a maggioranza sciita, mentre in quelle sunnite molti seggi non sono Il premier ad interim Allawistati neanche aperti, situazione che ha confermato le previsioni, secondo le quali nel ''triangolo sunnita'' a nord di Bagdad, che ha come vertici le città di Baquba, Ramadi e Falluja, sarebbe stato impossibile votare.
A Samarra, considerata una delle roccaforti del triangolo, dove il sindaco aveva dichiarato ieri che non si sarebbe votato per motivi di sicurezza, sono stati rapiti trenta funzionari elettorali

Le previsioni danno vincente la maggioranza sciita, quella parte della popolazione irachena, insomma, che per decine di anni è stata oppressa dal regime di Saddam. Grande la motivazione elettorale anche quella dei curdi - circa un quinto della popolazione - che  negli anni ha visto ogni sorta di terribile violenza da parte del regime del rais e che sperano di ottenere l'autonomia della loro regione, nel nord del paese.
Alcuni partiti sunniti hanno invece boicottato le elezioni, poiché sostengono che la presenza americana nel paese rende impossibile lo svolgimento di consultazioni legali.


I PAESI VICINI E I MEDIA
L'Islam e la tv: le elezioni raccontate dalle emittenti arabe. Gioia da Al Arabiya, veleni da Al Jazira
di Magdi Allam per il Corriere della Sera del 31 gennaio 2005

Le prime elezioni veramente libere nella storia dell'Iraq e del mondo arabo non sono piaciute affatto a Al Zarqawi, Saddam, Assad e Al Jazira. Sono piaciute poco a Erdogan, re Fahd, Khamenei. Sono risultate indigeste anche agli europei ossessionati dall'antiamericanismo e persino agli americani che mal sopportano Bush.
Ma sono piaciute tanto, veramente tanto, alla maggioranza degli iracheni, dentro e fuori l'Iraq. Chi ha seguito le elezioni da vicino, calandosi nell'animo degli iracheni, analizzando le parole espresse da candidati e elettori, ha potuto constatare come in realtà si sia trattato di un plebiscito a favore di un Iraq libero, garantendo la più alta affluenza alle urne. Tutti si sono limitati a esprimere appelli e poi hanno gioito insieme per la comune vittoria di circa otto milioni di votanti. Che hanno sfidato e sconfitto i kamikaze e i razzi di Al Zarkawi, nonostante l'alto sacrificio in perdite umane.

Con il voto di ieri si è visto il Paese reale, un popolo che si è definitivamente emancipato dalla dittatura di Il voto delle donneSaddam, che rigetta l'oscurantismo di Al Qaeda e vuole edificare uno Stato democratico e federale in grado di reggersi senza la tutela degli americani. Si comprende bene la paura dei regimi teocratici e autocratici limitrofi. Il contagio dei valori dei diritti individuali della persona e dei diritti collettivi delle comunità etnico-confessionali è temuto più di uno tsunami.
A farsi interpreti della portata dello sconvolgimento prodotto dal voto iracheno sono state la più contestata tv araba, Al Jazira, e la rivale, ben più moderata, Al Arabiya. Quest'ultima, grazie alla ferma presa di posizione a favore del voto e della legalità in Iraq, ha di fatto scalzato il primato di ascolti di Al Jazira . Quando alle 17 (le 15 in Italia) si sono chiusi i seggi elettorali, Al Arabiya ha annunciato: ''Gli iracheni hanno vinto la loro sfida contro le bombe dei terroristi''. E dallo studio a Dubai la conduttrice ha rivolto le ''congratulazioni per la vittoria'' al ministro dell'Interno Naqib al Fallah.
Viceversa Al Jazira ha dato libero sfogo alle invettive di Abdallah al Sennawi, direttore del quotidiano egiziano Al Arabi , contro le ''elezioni farsa, antidemocratiche, i cui risultati sono già noti agli occupanti americani'', e a un anonimo siriano interpellato a Damasco che ha detto di essere sì preoccupato ''ma mi tranquillizza la persistenza dell'attività della resistenza irachena contro l'occupazione americana''. E poi tanto spazio a un certo Ali Haj Massoud, rifugiato in Siria, che denuncia di essere stato escluso dalla candidatura per aver osato ''criticare l'occupazione americana'' e di un certo Zumaili, del Partito dell'avanguardia nasseriana, che da Mosul ha assicurato che ''la popolazione ha boicottato in massa le urne''.
Veleno. Solo veleno. Distillato anche nella formulazione delle domande rivolte ai visitatori del sito di Al Jazira in lingua inglese, dove emerge una maggioranza a favore del rinvio delle elezioni in Iraq e di scettici sul cambiamento della vita degli iracheni dopo le elezioni di ieri.

Dal canto suo il direttore di Al Arabiya , Abdel Rahman al Rashed, ha detto entusiasta: ''E' la prima volta che Un voto blindatouno Stato arabo affida le scelte cruciali al suo popolo. Ora, dopo le elezioni, si paventa il rischio che l'Iraq esporti la democrazia nella regione. Devono forse preoccuparsi i Paesi limitrofi? Sì, se pensano solo a sigillare le frontiere e a non promuovere le riforme interne. Iraq o non Iraq, il mondo va avanti e tutti dovranno allinearsi''.
Contenuti e toni ben diversi da quelli di Al Jazira. Un cambiamento sul piano ideale che si poteva cogliere anche nell'inedita decisione del più diffuso quotidiano arabofono, Asharq al Awsat, di schierarsi apertamente con un editoriale dal titolo ''Sì alle elezioni'', perché vi si legge ''è una svolta storica per tutti gli iracheni e per l'intera regione''.

Il 30 gennaio 2005 resterà nella storia come l'inizio del crollo del Muro della dittatura e del fanatismo nel mondo arabo. La fine di Saddam, la disfatta dei terroristi islamici, il successo della democrazia in Iraq finiranno per contagiare l'intera regione. Certamente è una strada tutta in salita. Ma ora è lecito sperare.


- Le cifre delle elezioni irachene (ANSA)

- I protagonisti (ANSA)

- I principali partiti e alleanze (ANSA)

- Le elezioni nella storia irachena (ANSA)

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31 gennaio 2005
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