Una brutta, bruttissima esperienza
Sono rientrati a Mazara del Vallo i 19 pescatori sequestrati il 7 giugno in Libia
Sono stati accolti da una folla di parenti e curiosi al porto nuovo di Mazara del Vallo gli equipaggi dei tre motopesca della marineria mazarese sequestrati per venti giorni dai miliziani libici a Bengasi. Il "Maestrale", l'"Antonino Sirrato" e il "Boccia Secondo" sono arrivati in porto sabato notte. I 19 marittimi, tra i quali sette tunisini, sono apparsi molto provati e hanno riferito di essere stati maltrattati dai miliziani libici.
Sulla banchina anche il vescovo, monsignor Domenico Mogavero. Il vescovo ha appreso della liberazione mentre si trovava a Tunisi, sabato mattina è rientrato con un volo diretto e di sera ha voluto partecipare al momento d'accoglienza sulla banchina del porto nuovo di Mazara. "È una vicenda a lieto fine per la quale non possiamo che gioire - ha detto il Mogavero - la mia presenza vuole dimostrare la vicinanza verso questa gente di mare che naviga questo Mediterraneo tra tantissimi rischi. Una semplice testimonianza di affetto nei loro confronti e delle loro famiglie e dei loro figli". Il Vescovo si è intrattenuto per più di un'ora con gli equipaggi e le loro famiglie. "Ora è giunta l'ora che si affronti definitivamente la questione delle acque territoriali - ha ribadito il Vescovo - nulla può essere lasciato più al caso".
"I miliziani libici ci hanno sparato, per bloccare le nostre barche" ha raccontato GiovanBattista Armato, uno dei sette membri d'equipaggio del "Maestrale". Secondo il racconto, un gruppo sparuto di soli cinque uomini su un barchino in legno di appena cinque metri con una scritta inneggiante alla liberazione. Cinque uomini senza alcuna divisa, ma armati fino ai denti. Sono sbucati dal nulla la sera del 7 giugno scorso e in un paio di ore hanno sequestrato tre motopescherecci con a bordo 19 uomini, 12 mazaresi e sette tunisini.
"Ho sentito come uno scoppiettio, mi sembrava si trattasse di un corto circuito non riuscivo a capire cosa stava accadendo a poppa. Samir il mio compagno mi diceva rientra, rientra, non uscire e io invece continuavo a chiedergli cosa stesse accadendo. Rientra, rientra mi faceva. Poi sono uscito anche io e mi sono trovato davanti due uomini senza divisa, avevano i coltelli in bocca, in mano un fucile e attaccata alla cintola le bombe, non hanno parlato all'inizio ma hanno sparato. Una cinquantina di colpi, tre sono andati a finire lungo la fiancata del peschereccio, uno dentro. Ci hanno fatto capire di andare tutti a poppa e di seguirli fino a Bengasi". "Intanto altri due uomini armati - ha continuato il suo racconto Armato - erano saliti sul Boccia e l'ultimo rimasto sul barchino si era messo davanti la poppa del Sirrato con la bomba in mano pronta a farla esplodere a bordo se non li seguivamo. Siamo pescatori, cosa dovevamo fare? Li abbiamo seguiti". "A Bengasi poi dopo un giorno ci hanno condotto in carcere. Disumane le condizioni in cui ci hanno lasciato. Quando dalla televisione hanno sentito dei cocci di anfora trovati nel nostro peschereccio, altri detenuti ex militari, armati anche loro fino ai denti sono venuti nella nostra camerata e ci hanno gridato: ‘Italiani stasera vi tagliamo la gola!’. Se non fosse stato per i nostri colleghi tunisini non so come sarebbe finita. Sono stati loro a mediare".
Jalil è uno dei marittimi tunisini che ha aiutato i compagni. "Ci hanno trattato peggio delle bestie - ha detto - volevano ammazzare gli italiani perché pensavano che oltre ai cocci avessero anche armi, ho dovuto spiegare che loro erano solo padri di famiglia, gente anziana che andava per mare per sfamare la famiglia. Ho avuto paura anche io quando sono arrivati sul peschereccio, non avevano divisa, ho pensato fossero pirati, poi dopo un'ora ci hanno detto che erano militari. Hanno sparato. A me hanno rubato tutto, carta d'identità, permesso di soggiorno, passaporto tunisino e italiano, tutto, non mi hanno lasciato nulla. Dopo 35 anni stasera sono ritornato in Italia da clandestino".
"Oltre al danno la beffa" ha gridato, ancora a bordo dell'imbarcazione, il comandante del Boccia, Pino Russo. "Eravamo stati assolti e quindi dopo avere pagato l'ammenda di 4 mila dinari potevamo lasciare Bengasi. Invece no, ci hanno tenuti altri 24 ore, avevano deciso i miliziani che dovevamo restare ancora. Poi alla fine abbiamo capito che volevano altro. Ci avevano già preso il pescato, hanno voluto 19 mila euro per uscire dal carcere, 4 mila dinari per andare via, si sono presi tutto l'armamento della pesca di tutti i pescherecci, circa 250 mila euro di danni. Appena l'ultimo militare è sceso dalle imbarcazioni siamo scappati di corsa. Questi sono animali, è un caos totale".
E a confermare la drammatica situazione è stato proprio Giovanni Tumbiolo, presidente del Distretto della Pesca, che per due settimane è rimasto in Libia a cercare di mediare con l'aiuto del console De Sanctis una situazione davvero pericolosa. "Al momento a Bengasi soprattutto ci troviamo di fronte a dei cani sciolti. Non c'è alcuna autorità, al di sopra dei miliziani. Tutti armati e pericolosissimi. Non abbiamo voluto subito raccontare cosa era accaduto nell'immediatezza del sequestro anche se avevamo detto che si era trattato di un vero atto di pirateria proprio per queste modalità per non fare preoccupare le famiglie a Mazara. Ma sappiamo che gli stessi miliziani avevano sparato contro un peschereccio tunisino, uccidendone il comandante e ferendo gravemente due pescatori. Quindi questa è la situazione. I giudici hanno un potere limitato. Ora c'è la necessitò che il governo non si sottragga alle sue responsabilità, che protegga innanzitutto i nostri pescatori. E che finalmente parta questo progetto di cooperazione tra i due Paesi. Non si possono sempre fare gli interessi delle grandi multinazionali italiane a scapito di un settore come quello della pesca sempre marginalizzato".
Domani pomeriggio, una rappresentanza degli equipaggi incontrerà a Mazara del Vallo il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione Andrea Riccardi
[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, ANSA, Lasiciliaweb.it, Repubblica/Palermo.it]