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Una causa perduta

La guerra in Iraq: il più grande fallimento del due volte eletto presidente degli Usa George W. Bush

09 luglio 2007

L'ultimo bilancio parla di ben 156 morti e 255 feriti. E' il tragico conteggio dell'attentato di sabato mattina con un camion bomba a Emerli, non lontano da Kirkuk, nel nord dell'Iraq.
Nell'esplosione, avvenuta in un affollato mercato all'aperto del villaggio vicino Tikrit, a morire sono stati per la maggior parte donne e bambini, dilaniati dalla deflagrazione o schiacciati dalle macerie dei palazi crollati.
Nella sera di venerdì altre 30 persone hanno perso la vita in un altro attentato con un'autobomba un villaggio curdo nel nord-est del Paese.

E nell'Iraq liberato da Saddam, ma non dalla violenza, continuano ad aumentare anche i morti americani, che hanno fallito la loro iniziale missione, quella di esportare la democrazia nel grande Paese islamico. Tra sabato e domenica sono altri 6 soldati Usa sono morti in diverse operazioni. Due soldati sono morti e altri tre sono rimasti feriti per l'esplosione di una bomba al passaggio del loro convoglio nella zona est di Bagdad. Simile l'attentato che è costata la vita a un altro soldato e a un interprete iracheno, a sud-est della capitale. Tre i soldati feriti. La morte di altri tre militari risalirebbe, invece, a giovedì: a cadere due marines nella provincia di Anbar e un soldato a Bagdad.
E' così salito a 3600 il numero ufficiale dei militari statunitensi morti in Iraq dall'inizio della guerra, nel 2003.

Un guerra persa e una causa ormai perduta, che richiede come soluzione un ritiro definitivo dell'esercito americano dai territori iracheni. Soluzione che adesso è diventata anche il risultato dell'analisi del New York Times, uno dei massimi e più influenti quotidiani d'America, palesato ieri in un lungo editoriale intitolato ''The Road Home'', la ''Via del Ritorno''.
''E' giunto il momento per gli Stati Uniti di lasciare l'Iraq'', dice il NYT prendendo una dura posizione contro l'amministrazione Bush che ha fortemente voluto il conflitto. Parole che pesano come macigni sulla Casa Bianca. ''Come tanti americani abbiamo rinviato questa conclusione in attesa di un segnale che il presidente Bush stesse cercando di sottrarre gli Stati Uniti al disastro da lui creato invadendo l'Iraq senza ragioni sufficienti, sfidando l'opposizione generale, senza un piano successivo per stabilizzare il paese'', scrive il quotidiano. ''All'inizio abbiamo pensato che dopo avere distrutto il governo, l'esercito, la polizia e le strutture economiche dell'Iraq, gli Stati Uniti si sentissero obbligati a raggiungere alcuni di quei traguardi che Bush proclamava di inseguire - scrive ancora il NYT - in particolare la costruzione di un Iraq stabile e unificato''. Ma le scadenze fissate dallo stesso Bush per raggiungere questi traguardi sono ''andate e venute senza alcun progresso verso un Iraq stabile e democratico e senza un inizio del ritiro delle truppe Usa''. Manca, sintetizza il NYT, un progetto per il futuro dell'Iraq. ''E' spaventosamente chiaro che il piano di Bush è mantenere la rotta attuale finché sarà presidente per poi scaricare questo macello sul suo successore. Qualsiasi fosse la sua causa, è una causa perduta''.

Una causa innegabilmente persa, quindi, come sono state innegabilmente perdute le vite di moltissimi soldati. ''Continuare a sacrificare le loro vite sarebbe sbagliato'' si esprime senza mezzi termini l'editorialista del New York Times, che vede un solo strada possibile: il ritiro delle truppe.
''Gli americani devono ammettere con onestà il fatto che mantenere le nostre truppe in Iraq servirebbe solo a peggiorare la situazione'', afferma il giornale notando che le guerra irachena ha avuto come conseguenza il distogliere le risorse del Pentagono dall'Afghanistan per creare in Iraq ''una nuova roccaforte'' dei terroristi. Ed è assolutamente inutile continuare a dire - come fanno Bush e del suo vice Dick Cheney - che un ritiro delle truppe Usa ''produrrebbe un bagno di sangue, caos e incoraggerebbe i terroristi''. ''E' pura demagogia - conclude il New York Times - Tutto questo è già successo in Iraq, come risultato di questa invasione non necessaria e della gestione incompetente di questa guerra''.

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09 luglio 2007
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