Una nuova tendenza aziendale. La promozione culturale come viatico per creare lavoro e aumentare gli introiti
Ecco il bello dell'impresa
Il Sole24Ore (03 Maggio 2006)
Vai a una mostra di fotografia e riconosci nel soggetto ritratto un tuo amico revisore dei conti. Ordini un abito su misura, e scopri che chi lo confeziona è impegnato da un decennio in un progetto avanzatissimo e unico in Italia di rilancio del territorio montano. Installi un sistema di illuminazione d'emergenza e vieni a sapere che chi lo produce ha messo in piedi un Museo di arte contemporanea tra i più rispettati al mondo.
Ma che cosa succede? Perché aziende grandi e piccole, si prendono la briga di fare cultura, organizzando eventi anche costosi, ma soprattutto distanti dal loro core business?
Succede che sponsorizzazione e spot pubblicitari sono strumenti sempre meno efficaci e, nonostante la loro invadenza, appartengono ormai al passato. Qualcuno l'ha capito prima di altri. Piccoli e grandi imprenditori che non si accontentano più del classico baratto: io do quattrini a te, e tu in cambio dai visibilità al mio marchio. Che non vogliono più mettere la firma sotto iniziative altrui, ma vanno alla ricerca di un ruolo attivo e di strategie proprie. Imprenditori che insorgono contro l'automatismo della sponsorizzazione, perché pensano che, nel rapporto tra impresa e cultura, la vitalità si è ormai da tempo spostata altrove. E il tornaconto pure.
Fare cultura conviene, non soltanto in termini di immagine. Conviene perché rispetto all'investimento classico in pubblicità, all'azienda costa molto, ma molto meno. Perché l'investimento può essere defiscalizzato, aspetto spesso sconosciuto, o comunque poco sfruttato. E perché l'azienda che lo fa attira talenti dall'esterno e crea opportunità occupazionali. Non solo. «La cultura - dice Leonardo Previ, presidente di Trivioquadrivio e ideatore di campagne di successo per Unicredit, Generali e Sda Bocconi - rafforza l'orgoglio di appartenenza all'interno di un gruppo: l'azienda è percepita come un luogo di conoscenza, una realtà innovativa, coraggiosa, che sa apprezzare il valore delle persone. Oggi si parla molto di economia knowledge-based: investire in conoscenza fa sentire i collaboratori persone vere e non numeri».
"Territorio" è la nuova parola d'ordine nelle iniziative culturali delle imprese: dal territorio si traggono spunti e risorse, sulla comunità locale ricadono i risultati. A volte il territorio è grande come l'intero Paese, come per il Progetto Italia di Telecom. Altre iniziative, non minori né per dimensioni né per originalità, sono strettamente legate a un luogo, alla sua vocazione, alle sue necessità. Piccole imprese, grandi entusiasmi. In testa si collocano le fondazioni, vincolate da statuto a iniziative di questo tipo. Poi le grandi aziende: colossi delle telecomunicazioni (Telecom, Vodafone) e dell'energia (Enel, Edison), ma anche gruppi bancari (Unicredit) e società di consulenza (Ernst&Young).
C'è poi un mondo poco raccontato che nasce per iniziativa di imprenditori illuminati: un atto d'amore, di generosità spontanea per l'arte, che quasi non vuole pubblicità, perché quello che conta è appropriarsi di una cosa bella e condividerla col prossimo, educare la gente a goderne.
Qualcuno li liquida sbrigativamente come stravaganti mecenati, altri li premiano e li promuovono perché su di loro si gioca la scommessa del futuro. Comunque sia, si tratta di persone che hanno capito che la cultura è una cosa seria, non un divertimento, che cambia la vita e la testa di chi la fa. Anche del proprio pubblico. «La soluzione dei problemi - racconta Michela Bondardo, fondatrice del Premio Impresa e Cultura e ideatrice del progetto «L'energia delle idee» per Ernst&Young - passa per un rafforzamento del senso critico che apra l'orizzonte mentale delle persone e che consenta loro di giudicare autonomamente, con la propria testa. Naturalmente, ci vuole anche una controparte in grado di capire che quando c'è un rischio da correre non c'è sempre garanzia di successo. Poi ci vuole la continuità, il coraggio di insistere perché alla fine l'innovazione si produca da sé, dall'interno. Nessuna innovazione nasce dalla sicurezza. Ricordiamoci che in cambio della sicurezza spesso barattiamo la nostra felicità».