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Una pesantissima responsabilità

Il Consiglio d'Europa sulla tragedia del barcone partito da Tripoli il 26 marzo 2011: "Italia responsabile della morte di 63 migranti"

30 marzo 2012

È stato una "catena di errori", da parte dell'Italia e di Malta, ma anche della Nato, che ha provocato il mancato soccorso al barcone di 72 migranti in fuga della Libia, 63 dei quali sono morti nelle due settimane in cui l'imbarcazione è rimasta alla deriva nel Mediterraneo. È quanto stabilisce un rapporto del Consiglio d'Europa, presentato ieri, sulla tragedia del barcone partito da Tripoli il 26 marzo 2011, poco dopo l'avvio dei raid della Nato.
Nel rapporto si legge che i Centri di soccorso in mare dell'Italia e di Malta "erano informati del fatto che l'imbarcazione era in difficoltà, ma nessuno dei due si è preso la responsabilità di iniziare una operazione di search and rescue". "Essendo l'Italia - si legge nelle conclusioni dell'inchiesta condotta dal comitato per l'immigrazione dell'assemblea parlamentare del Consiglio - la prima ad essere stata informata dell'emergenza, aveva una responsabilità maggiore nel garantire la sicurezza dell'imbarcazione".

Quelle dell'Europa, insomma, sono accuse pesantissime. Nel documento si sottolineano anche le gravi responsabilità della Nato e dei singoli Paesi che hanno partecipato alla guerra in Libia e che al momento del dramma avevano navi che in solcavano quel tratto del Mediterraneo. E si parla di "fallimento collettivo" di Italia, Malta, Onu e Nato "nel pianificare gli effetti delle operazioni militari in Libia e prepararsi per un atteso esodo via mare". Una sottovalutazione che ha portato alla morte di decine di migranti, tra i quali c'erano anche donne e bambini, costretti alla deriva per due settimane e lasciati morire di fame e di sete.
L'inchiesta, firmata dalla senatrice olandese Tines Strik e durata nove mesi, punta l'indice su carenze umane e istituzionali, errori compiuti tanto da navi militari che civili, insieme ad ambigue richieste di soccorso e alla confusione sulla responsabilità per i soccorsi. Senza tralasciare le colpe delle autorità libiche in merito alle quali il rapporto sottolinea che, soprattutto in tempi di guerra "uno Stato ha la responsabilità dei civili, sia quando sono sulla terra che quando sono per mare". Inoltre, aggiunge la relatrice, "la Libia ha violato tutti gli impegni internazionali incoraggiando e perfino forzando i migranti e i rifugiati a prendere la pericolosa via del mare".

La storia del barcone dei migranti libici è nota: il gommone, a bordo del quale c'erano 72 migranti africani, salpò da Tripoli nel cuore della notte del 25 marzo, ma entrò poco dopo in avaria e fu lasciato andare alla deriva per due settimane, fino a quando non fu rispedito sulle coste libiche. Nonostante le richieste d'aiuto e il fatto che la nave fosse stata identificata dalla guardia costiera europea, non fu fatto alcun tentativo di salvataggio: morirono quasi tutti coloro che erano a bordo, compresi due bambini, si salvarono soltanto nove persone.
"Nonostante la zona si trovasse sotto alta sorveglianza militare, nulla è successo", ha denunciato la Strink. "L'ipotesi più probabile è che tutti sapessero e che tutti abbiano voltato gli occhi da un'altra parte per non doversi accollare la responsabilità di dare un rifugio ai migranti". "Di certo - è la tesi del Consiglio d'Europa - sapeva la Nato, così come la nave italiana Borsini che si trovava a 37 miglia dal barcone e la nave spagnola Mendez Nunez che era ancora più vicina, a sole 11 miglia. Entrambe provviste di elicottero. E sapeva l'elicottero dell'esercito francese che per primo si è avvicinato ai disperati del Mediterraneo lanciando loro biscotti e acqua, insieme alla promessa non mantenuta che sarebbe ritornato".
Strik ha descritto la tragedia come "una pagina buia per l'Europa" che rivela il "doppio standard" in uso per valutare la vita umana. "Possiamo parlare quanto vogliamo di diritti umani e dell'importanza di rispettare gli obblighi internazionali, ma se lasciamo morire le persone - forse perché non sappiamo la loro identità o perché provengono dall'Africa - tutte quelle parole diventano prive di significato".
Il Consiglio d'Europa - che discuterà il rapporto nella sua assemblea il 24 aprile prossimo - vuole giustizia. In particolare, sollecita la Nato a condurre un'indagine a tutto campo e a dare le risposte che ancora mancano per spiegare questo film dell'orrore. "Le loro navi potevano salvare queste persone e non l'hanno fatto: dobbiamo ancora capire perché", ha detto Judith Suderland, di Human right watch. A muoversi sarà anche la giustizia ordinaria: l'avvocato Stefane Maugendre ha annunciato che a nome di organizzazioni non governative presenterà a Parigi una denuncia contro l'esercito francese a nome dei nove sopravvissuti. [Rapporto integrale - versione provvisoria (pdf)]

"Mi auguro che nessuna responsabilità sia riconducibile al nostro Paese, nel caso si dovesse fare una commissione d'inchiesta" ha commentato il presidente del Senato Renato Schifani che proprio ieri era a Bruxelles, sottolineando in ogni caso che "non bisogna dimenticare che il nostro paese si è sempre distinto per spirito di solidarietà e di accoglienza".
Secondo il ministro della Cooperazione Andrea Riccardi, invece, l'Italia deve "assumersi le responsabilità" della vicenda. "Credo - ha aggiunto - che sia un fatto che si aggiunge alla riflessione che noi dobbiamo fare su una politica corretta di immigrazione". Molto più dura Livia Turco, responsabile immigrazione del Pd: "è un'accusa infamante ed è l'orrendo prezzo che deve pagare il nostro paese per la vergognosa politica di chiusura attuata dal governo Berlusconi-Maroni".
L'inchiesta del Consiglio d'Europa, però, un primo risultato lo ha già ottenuto. Ha ristabilito, dice infatti Laura Boldrini, portavoce dell'Alto Commissario per i Rifugiati (Unhcr) "il principio del salvataggio in mare", importante per "evitare che il Mediterraneo si trasformi nella terra di nessuno, dove vige l'impunità".

Per l'Italia, questo atto d'accusa verso le politiche di accoglienza dell'ex governo di centrodestra segue a stretto giro la condanna della politica dei respingimenti in alto mare dei migranti, fiore all'occhiello della politica di Maroni e frutto degli accordi bilaterali fra Italia e la Libia di Gheddafi sul contrasto dell’immigrazione clandestina. Secondo le toghe di Strasburgo, questi accordi sono in contrasto con la Convenzione europea sui diritti umani. In particolare con l'articolo 3, quello sui trattamenti degradanti e la tortura. In quell'occasione la Corte ha anche stabilito che Roma ha violato il divieto alle espulsioni collettive, oltre al diritto per le vittime di fare ricorso presso i tribunali nazionali. La sentenza del tribunale europeo, che apre la strada a molti altri ricorsi, si riferiva a un episodio in particolare, quando, il 6 maggio 2009 in acque internazionali a 35 miglia a Sud di Lampedusa, le autorità italiane intercettarono un barcone con a bordo circa 200 persone di nazionalità somala ed eritrea. Nonostante sull’imbarcazione ci fossero anche donne in gravidanza e bambini e nonostante il fatto che le popolazioni provenienti dal Corno d'Africa una volta in Italia ricevano spesso una qualche forma di protezione internazionale, i migranti furono fatti trasbordare su un’altra imbarcazione e riaccompagnati a Tripoli. Senza essere identificati né tantomeno informati della vera destinazione del viaggio. Tant'è che i migranti non hanno avuto nessuna possibilità di presentare alle autorità italiane richiesta di protezione internazionale.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, ANSA, Lasiciliaweb.it, Repubblica.it]

- "L'Italia ha violato i diritti umani" (Guidasicilia.it, 23/02/12)

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30 marzo 2012
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