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Una sentenza storica

Condannati tre ex dirigenti della Fincantieri di Palermo per la morte di 37 operai a causa delle inalazioni di amianto

27 aprile 2010

Tre ex dirigenti della Fincantieri, Luciano Lemetti, Giuseppe Cortesi e Antonio Cipponeri, sono stati condannati dal Tribunale di Palermo per omicidio colposo plurimo e lesioni gravissime nell'ambito del processo per le morti bianche causate dall'amianto ai Cantieri navali di Palermo.
Il giudice monocratico della prima sezione del Tribunale di Palermo, Gianfranco Criscione, ha condannato a 7 anni e 6 mesi Lemetti; Cortesi a 6 anni e Cipponeri a 3 anni. A tutti e tre sono stati condonati 3 anni. Nei loro confronti i pm Carlo Marzella e Emanuele Ravaglioli avevano chiesto condanne a 23 anni complessivi di carcere.

Le vittime di mesotelioma pleurico e asbestosi, malattie provocate dall'inalazione di fibre di amianto usate dai cantieri navali di Palermo sono 37, mentre altri 24 operai sono ancora oggi malati.
Il giudice ha disposto anche alcuni risarcimenti milionari, liquidando una provvisionale immediatamente esecutiva di oltre 5 milioni di euro: tanto dovranno anticipare subito agli enti costituiti a giudizio come l'Inail e la Fiom e ai familiari dei morti. Una cifra da capogiro di cui dovrebbe farsi carico l'azienda, nonostante in questo processo non sia stata riconosciuta responsabile civile, a cui poi dovrà sommarsi quella stabilita dal giudice nel processo civile. Gli imputati in particolare dovranno dare 4 milioni e 100mila euro all'Inail; 7.500 a Legambiente; 10 mila all'Associazione Esposti Amianto; 7.500 a Medicina Democratica; 10 mila alla Fiom e 7.500 alla Camera del Lavoro. A tutti gli enti dovranno poi essere restituite le somme anticipate per le spese legali. Gli ex dirigenti, poi, dovranno dare, sempre a titolo di provvisionale, complessivamente un milione e 455 mila euro ai familiari delle 37 vittime costituiti parte civile.
"Dei soldi non mi importa nulla - ha detto Anna Maria Arcoleo - tanto mio padre non me lo ridà nessuno. Ma è giusto che chi poteva evitare quanto è accaduto paghi". La donna si è costituita parte civile, insieme alla madre e a sette fratelli, attraverso l'avvocato Fabio Lanfranca. "Mio padre - ha detto - ci diceva che lavoravano senza nessuna precauzione e che temeva che non ne sarebbe uscito vivo". Soddisfatto anche l'avvocato Lanfranca. "Questa sentenza - ha detto - riconosce che i dirigenti della Fincantieri non hanno tutelato gli operai utilizzando per anni un materiale a basso costo come l'amianto, pur sapendo, che era pericoloso per la salute, fin quando la legge glielo ha di fatto impedito".

"Non ci possono essere attenuanti per chi, consapevole del rischio cui è sottoposto un lavoratore, pur in presenza di normativa sulla sicurezza, non fa nulla perché quel rischio sia evitato o ridotto al minimo - ha detto Mauro Marangoni, direttore regionale dell'Inail Sicilia, commentando la sentenza - un'opera preziosa nella prevenzione degli infortuni può essere svolta operando sulla formazione e sull'informazione". L'Inail ha contribuito all'avvio delle indagini, con la registrazione e trasmissione alla Procura della Repubblica di Palermo dei numerosi casi di malattie polmonari che avevano colpito gli operai del cantiere sin dagli anni Novanta. "Il prezzo che ancora oggi si paga all'insicurezza in termini di perdita di vite umane - aggiunge Marangoni - è moralmente inaccettabile, perché dietro ad ogni numero ci sono la storia e la vita di persone e di famiglie. Ritengo che occorra prima di tutto un cambiamento culturale, è necessario, infatti, radicare i valori della prevenzione e della sicurezza nel mondo del lavoro, in vista del miglioramento della qualità della vita di lavoratrici e lavoratori".

E il discorso è tutto qui nella certezza dell'accusa, e ora del giudice, che quelle morti si potevano evitare, perché la pericolosità dell'amianto, killer invisibile che uccide anche dopo anni, era nota dai primi del '900. E perche' la legge, dal 1965, impone l'adozione di misure a tutela dei lavoratori che stanno a contatto con le fibre. Invece, hanno raccontato i sopravvissuti durante il processo, alla Fincantieri di Palermo si lavorava senza mascherine e con aspiratori che non funzionavano. Alla Fincantieri le polveri di amianto raccolte sul pavimento venivano semplicemente spazzate, come fossero granelli di polvere. E mancava un servizio di lavaggio delle tute: gli operai se le pulivano a casa. Come Angelo Norfo, morto di cancro pochi mesi prima della moglie, Calogera Gulino, che l'asbestosi l'ha presa proprio lavando i vestiti del marito.

Anche alcuni dei 24 operai ammalati si sono costituiti parte civile al processo, per loro però la legge non ha risposta. Le lesioni, reato contestato nel loro caso, sono tutte prescritte. Nessun risarcimento, dunque. Nessuna condanna. "Dovremo aspettare di morire - ha detto Vincenzo Bennardo, più volte operato per un brutto mesotelioma e invalido per l'Inail -. Perché per la giustizia la malattia non é abbastanza".
Comunque, il verdetto di ieri non chiude il lunghissimo capitolo delle morti alla Fincantieri. Altri quattro procedimenti - due a dibattimento, uno in udienza preliminare e uno in fase di indagine - cercheranno di fare chiarezza su altri 60 casi di amianto killer.

"Una sentenza storica" - "Dopo nove anni di indagini preliminari e tre di dibattimento, giunge finalmente a un primo epilogo il processo contro la Fincantieri palermitana per le morti da amianto. Legambiente si era costituita parte civile nel processo". Per Mimmo Fontana, presidente Legambiente Sicilia, si tratta di "una sentenza storica per l'importanza delle pene comminate, che non hanno precedenti nel nostro Paese, ma putroppo questo non restituirà alle famiglie i propri cari che sono morti a causa del loro lavoro". "L'aspetto più importante di questa sentenza - ha aggiunto Fontana - è il fatto che stabilisce il nesso di causa-effetto fra la totale assenza di presidi di sicurezza nello svolgimento di lavorazioni ad alto rischio (per la massiccia presenza di amianto) e la morte dei lavoratori. Speriamo che questa sentenza possa servire per cominciare a invertire una tendenza che vede il nostro Paese ai primi posti, tra quelli occidentali, per numero di morti sul lavoro. Non è pensabile che si possa continuare a morire per portare a casa uno stipendio".

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Ansa, La Siciliaweb.it]

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27 aprile 2010
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