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Una volta il simbolo del rilancio industriale...

Gli operai della Keller di Carini temono la prospettiva nera del licenziamento: avviata la mobilità per 204 lavoratori

03 agosto 2010

La Keller, fabbrica di materiale rotabile con impianti in Sicilia e Sardegna, ha avviato la procedura di mobilità per 204 lavoratori dello stabilimento di Carini, in provincia di Palermo.
I delegati sindacali ne sono stati informati ieri con un documento inviato dall'azienda, controllata dalla Hig di Brescia e dal gruppo Busi di Bologna, appena entrato nella Mediterranea holding, società, di cui è maggiore azionista la Regione siciliana, che si è aggiudicata la gara per rilevare la società di navigazione Tirrenia.
Dunque, dopo 25 anni trascorsi tra promesse di sviluppo, amministrazione controllata e passagi societari contrassegnati da lunghi periodi di cassa integrazione degli operai e arresti di ex dirigenti, la Keller sembra giunta ancora una volta a un bivio.

Nei giorni scorsi il management di Keller ha presentato il nuovo piano industriale al ministero dello Sviluppo, prevedendo la cessazione dell'attività nella fabbrica siciliana e il mantenimento dello stabilimento di Villacidro, in Sardegna.
Per i lavoratori siciliani, in cassa integrazione in deroga fino al prossimo ottobre, si apre dunque la prospettiva nera del licenziamento, con i sindacati che chiedono alla Regione siciliana di salvare la storica azienda di materiale rotabile, fondata nel 1985 dall'imprenditore Giovanni Salatiello. Dopo pochi anni dalla sua creazione, la Keller Meccanica si aggiudicò diverse commesse da parte delle Ferrovie dello Stato per costruire vagoni e carrozze, acquisendo anche clienti all'estero. Aumentano i dipendenti: 250 nell'85, 360 nel 1990 per diventare oltre 500 negli anni seguenti. La Keller diventa il simbolo del rilancio industriale.
Nel 1993 però lo scenario cambia. L'azienda non riesce più ad avere commesse, annaspa in tra i debiti, circa 100 miliardi di vecchie lire. I dipendenti restano senza stipendio. Salatiello, su pressione degli operai sardi e siciliani, presenta i libri contabili in Tribunale. Poi, con la legge Prodi, l'azienda viene messa in amministrazione controllata. Arriva Maria Martellini, sembra la svolta. Una commessa da 300 miliardi per costruire 110 carri e 120 carrozze assegnata dalle Ferrovie dello Stato fa intravedere orizzonti di sviluppo. Ma è un'illusione. All'inizio del 1999 la Keller viene venduta al gruppo Metz di Kurt Maier, un altoatesino che si spaccia per imprenditore, ben accolto in Confindustria a Palermo; ministro all'Industria è Pierluigi Bersani, sindaco di Palermo Leoluca Orlando.

Dopo pochi mesi i primi segnali di crisi della K&M (nuova denominazione sociale di Keller), gli stipendi non vengono pagati. Cominciano le proteste e i dubbi. Maier all'improvviso sparisce, lasciando solo una e-mail e le casse della società vuote. Qualche giorno dopo si saprà che è stato arrestato in Germania per truffa. Quando sbarca nell'aeroporto di Roma viene arrestato dalla guardia di finanza per bancarotta fraudolenta, truffa aggravata, false comunicazioni sociali, appropriazione indebita. Secondo l'accusa il faccendiere avrebbe sottratto all'attivo societario beni per circa 27 milioni di euro.
Segue un nuovo periodo di disordini, gli operai più volte scendono in piazza. Scatta ancora la cassa integrazione. Il nuovo cavaliere bianco è Piero Mancini, imprenditore di Arezzo, in buoni rapporti con il venerabile Licio Gelli, proprietario della squadra di calcio della sua città e con interessi in vari settori, tra cui quello immobiliare. La Fiom non crede però nel suo progetto. Mancini riesce ad acquisire dal gruppo Anslado-Breda una parte dell'area e alcuni capannoni del'Imesi, fabbrica di Carini. La Fiom si rivolge alla Procura sospettando speculazioni edilizie di Mancini e della sua azienda Ciet negli impianti di Palermo della Keller. L'imprenditore riesce a cedere due aree a Palermo, spostando la produzione a Carini. Per risollevare l'azienda tratta l'ingresso di nuovi soci, tra cui un fantomatico gruppo anglo-arabo con sede a Londra e negli Emirati Arabi, che invia carte e documenti che finiscono persino tra le mani dell'allora presidente dell'Ars Guido Lo Porto che sponsorizza l'operazione salvo poi tirarsi indietro quando spuntano loschi personaggi e faccendieri che tentato attraverso l'operazione di piazzare apparecchiature mediche alla Regione siciliana.
Poi anche Mancini esce di scena, consegnando l'intero pacchetto azionario alla Hig e al gruppo Busi. Presidente viene nominato Gianfranco Borghini, ex responsabile nazionale della taske-force per l'occupazione che aveva seguito la fase di crisi della Keller. Il sogno di costruire carrozze in Iran adesso s'è trasformato nell'incubo della chiusura e del licenziamento.

[Informazioni tratte da Ansa, GdS.it, La Siciliaweb.it]

- Non è un Paese industriale... (Guidasicilia.it, 02/07/10)

 

 

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03 agosto 2010
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