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Uno tsunami di disperati

Lampedusa, già al collasso, teme che gli arrivi dall'Africa sfuggano al controllo e che le ritorsioni della Libia possano colpire l'Isola

19 marzo 2011

Nuovi sbarchi nella notte a Lampedusa. Altri tre barconi sono approdati sulle coste dell'isola italiana con il loro carico di clandestini: 378 profughi, circa 116 nella prima imbarcazione giunta a Cala Creta, 118 nella seconda, a Capo Grecale, 144 tunisini, fra cui 5 minori, con il terzo sbarco. A sorprendere è il fatto che la Guardia Costiera non sia intervenuta per scortare i barconi, che sono stati lasciati approdare direttemente sulla costa per l'assistenza ai migranti.
E' intanto al collasso il Centro d'accoglienza di Lampedusa, dove si trovano oltre 3.000 immigrati su una capienza di non più di 850 persone. Iniziano a esserci problemi igienico-sanitari a causa dell'alto numero di ospiti della struttura di contrada Imbriacola gestita da 'Lampedusaccoglienza'.

Ieri un centinaio di cittadini dell'isola ha raggiunto il molo Favaloro e ha impedito l'attracco di una motovedetta della Capitaneria di Porto con 116 migranti a bordo, soccorsi a largo dell'Isola.
Secondo alcune testimonianze, ogni volta che la motovedetta tentava di avvicinarsi i manifestanti minacciavano di buttarsi in acqua. Quando poi si è sparsa la voce che la motovedetta potesse attraccare al molo alternativo di Cala Pisana, un gruppo di cittadini si è diretto in macchina verso la zona per bloccare l'eventuale attracco anche lì.
Dalla motovedetta sono stati fatti sbarcare solo donne bambini e alcune persone che non erano in buone condizioni di salute. L'imbarcazione ha attraccato nel molo della Madonnina. Poco prima era salito a bordo un medico per controllare le condizioni di salute delle persone.
"La protesta è nata dopo avere saputo che i locali dell'area marina protetta riservati ai nostri incontri culturali e sociali sarebbero stati destinati ad ospitare 300 migranti, gettati per terra in condizioni disumane" ha raccontato il generale dei carabinieri Antonio Pappalardo, ex assessore delle Pelagie, presidente di un comitato spontaneo pescatori. "Le forze di polizia hanno capito il nostro dramma e noi li ringraziamo perché non siamo stati caricati. Inoltre il sindaco ci ha autorizzato questa mattina a rimanere nei locali dell'area marina protetta e gli extracomunitari sono stati mandati altrove - ha affermato - Nel pomeriggio poi siamo andati al porto abbiamo detto basta non c'è più posto". "Noi chiediamo che in rada sia ancorata una nave con almeno tremila posti dove ospitare i migranti - ha aggiunto - che vengono dal Nord Africa. In questo modo si eviterebbero gli sbarchi sull'isola e si garantirebbe una maggiore assistenza sia sanitaria sia sociale degli extracomunitari". In questo modo ha osservato Pappalardo: "Si eviterebbero anche le disdette delle prenotazioni di turisti che non intendono trascorrere le loro vacanze in un posto affollato di immigrati. Lampedusa vive di turismo soprattutto in estate e senza questi introiti si muore di fame. Noi siamo contrari anche alla costruzione di una tendopoli che aggraverebbe la situazione. Avremo oltre 10 mila persone a Lampedusa mentre i servizi sono sufficienti per cinque mila persone".

E come se tutto ciò non bastasse, ieri il sindaco, Bernardino De Rubeis, ha comunicato che le scorte di acqua potabile stanno per finire. "Abbiamo acqua a sufficienza solo fino a stasera e mancherà anche per i residenti, non solo per i migranti. La nave che porta i rifornimenti - ha spiegato - non è potuta arrivare per le condizioni del mare, quindi l'acqua sta finendo e siamo costretti a usare il dissalatore. I pozzi artesiani non sono in grado di coprire tutte le esigenze. per questo continuo a chiedere che vengano effettuati subito trasferimenti delle persone nel Centro d'accoglienza, che ormai sono intorno a 3.000, ma rischiano di diventare 5.000, visto che sono in corso altri arrivi e domani è prevista bonaccia".
"L'isola ormai al collasso. Vi è il rischio concreto di disordini" ha detto ancora il sindaco delle Pelagie. "Centinaia di tunisini sono ormai in giro per l'isola. Gli isolani sono esasperati e c'è il rischio concreto di disordini seri. La richiesta di costruire una tendopoli si è rivelata impossibile sia per l'opposizione degli stessi isolani che per l'impossibilità tecnica di fornire tutti i servizi a più di 3.000 persone in un'isola fornita di un centro accoglienza con capienza inferiore a 800 persone".
"Invito tutti i lampedusani - ha detto De Rubeis - ad utilizzare la parola recuperi e non sbarchi per individuare il fenomeno degli arrivi dei tunisini perchè gli sbarchi si devono accogliere mentre i recuperi possono essere portati in qualunque altra parte. Siamo disponibili ad accogliere chi arriva fino alle nostre coste ma non coloro che vengono recuperati al largo, i quali, sarebbe corretto, che raggiungessero la Sicilia senza passare da Lampedusa. La soluzione alternativa possibile è quella di utilizzare i tanti mezzi delle forze di sicurezza per trasportarli nel primo porto sicuro". "La posizione dell'amministrazione - ha aggiunto - è chiara ed in linea con il presidente Lombardo e con una parte del governo nazionale: innanzitutto occorre interrompere il flusso dei recuperi da destinare all'isola e trasferire i profughi direttamente altrove; ovviamente no a qualsiasi ipotesi di tendopoli. È urgente svuotare immediatamente di profughi e militari l'isola per il ritorno alla normalità". Il sindaco ha poi concluso: "So che l'intera giunta di Lampedusa e Linosa condivide questa linea, ma se qualcuno non dovesse essere d'accordo può considerarsi immediatamente fuori".

E con l'innalzamento del livello di attenzione militare per via di quanto sta accadendo in Libia, l'emergenza immigrazione preoccupa ancora di più. Al Viminale non si esclude infatti che Gheddafi possa far partire dalla Libia migliaia e migliaia di immigrati in direzione Lampedusa, che già sta scoppiando e che ricorda con terrore il missile lanciato nel 1986 proprio dal Rais per rispondere al tentativo degli americani di ucciderlo.
Uno scenario questo ritenuto assai plausibile e su cui si sta già lavorando: perchè è chiaro a tutti, e lo ha ricordato anche Massimo D'Alema oggi al Senato, che in caso di arrivi di massa non si potranno certo respingere i clandestini. A Lampedusa però al momento non verranno inviati contingenti aggiuntivi di forze di polizia: anche in questo caso si vuole attendere le prossime ore per avere maggiori informazioni e capire gli sviluppi della situazione.
Ed è già nella fase "di massima allerta" dice il ministro della Difesa Ignazio La Russa, il dispositivo per il controllo degli spazi aerei, così come è attivo il pattugliamento del canale di Sicilia con navi militari. L'Italia è dunque ben consapevole che i rischi sono concreti. "C'è preoccupazione - ammette La Russa - in tutta questa vicenda abbiamo cercato di seguire un atteggiamento di massima prudenza e moderazione, anche perchè sappiamo di essere i più vicini e i più esposti" alle ritorsioni di Gheddafi.
Per questo, dice il presidente del Copasir D'Alema ci sono "problemi per la sicurezza nazionale". Siamo, prosegue, "una delle aree immediatamente esposte ad azioni ritorsive" e dunque "dobbiamo chiedere che si attivi un dispositivo di protezione della Nato, una rete di sicurezza indispensabile". Parole confermate dal ministro degli Esteri Franco Frattini: "condivido le preoccupazioni di D'Alema".

La preoccupazione dell'Unhcr: cresce il rischio esodo di massa per sfuggire alla violenza - L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ed i suoi partner hanno approntato vasti piani di emergenza e sono pronti a collaborare col governo egiziano per prepararsi a gestire l’esodo di massa di persone in fuga dalla violenza in Libia. È quanto comunicano ieri da Ginevra sottolineando che è anche possibile che il conflitto possa bloccare l’accesso a luoghi sicuri e il passaggio per uscire dal paese in sicurezza. A questo punto saranno determinanti gli sviluppi dei prossimi giorni per sapere se la fuga in massa dalla Libia orientale avrà luogo o meno.
Sempre più libici si sono riversati in Egitto negli ultimi giorni, osserva l’UNHCR. Circa 1.490 nella sola giornata di mercoledì, su un totale di 3.163. La maggioranza delle persone intervistate alla frontiera con l’Egitto dice di essere fuggita nel timore di essere coinvolta nei combattimenti. Molti hanno anche citato - come motivo della fuga - l'attacco del governo libico a Bengasi.
I reporter di una troupe dell’agenzia Reuters che hanno lasciato Ajdabiyya mercoledì scorso hanno invece riferito agli operatori UNHCR di essere riusciti a fuggire appena in tempo mentre la città cadeva nelle mani delle truppe filogovernative. "Arrivavano in tanti da tutte le parti - dice uno dei giornalisti - i ribelli non avevano alcuna possibilità. La gente era costretta a fuggire se voleva salvare la pelle".
Alcuni degli intervistati alla frontiera sono stati vaghi sulle ragioni della loro fuga, dicendo di aver oltrepassato il confine solo per ricevere cure mediche. Ma le loro auto, stracariche di bagagli, dicono di più. Altri hanno fornito versioni più verosimili. Come un uomo che afferma "volevamo la democrazia e adesso ci ritroviamo la guerra".

Alla frontiera tunisina invece sono stati avvertiti colpi di arma da fuoco in lontananza, provenienti dalle aree più interne della Libia. Un flusso costante di circa mille nuovi arrivi continua a varcare il confine con la Tunisia. In maggioranza si tratta di cittadini dei paesi dell’Africa subsahariana.
Le persone di varia nazionalità appena arrivate hanno riferito all’UNHCR di numerosi posti di blocco lungo il tratto di strada che va da Tripoli alla frontiera di Rad Adjir. Hanno denunciato molestie da parte dei soldati filogovernativi, nonché la continua confisca di telefoni cellulari, schede di memoria e fotocamere, le situazioni descritte.
Secondo i rifugiati e i richiedenti asilo in contatto con l’UNHCR attraverso la linea telefonica dedicata attiva a Tripoli e a Ginevra, fuggire verso il confine è diventato sempre più pericoloso, in particolare per gli uomini soli, che rischiano il reclutamento forzato nell’esercito. La famiglia di un etiope di Tripoli racconta che l’uomo è riuscito per un soffio a sottrarsi al reclutamento forzato quando le forze filogovernative sono entrate nell’hangar abbandonato in un sobborgo della capitale dove aveva trovato rifugio insieme ad altre 1.500 persone circa, tra cui cittadini sudanesi e ciadiani.
I nuovi arrivati in Tunisia che sono riusciti ad avere l’aiuto delle proprie ambasciate per raggiungere la frontiera raccontano di viaggi meno faticosi, rispetto a coloro che hanno viaggiato soli o senza alcuna assistenza. I rifugiati eritrei affermano di essere fuggiti dalla persecuzione in Eritrea e che quindi non possono rivolgersi all’ambasciata del proprio paese per chiedere aiuto. "Un rischio calcolato" lo definisce un rifugiato eritreo, che ha preferito precipitarsi verso il confine. "Meglio morire cercando di mettersi in salvo che nascondendosi in Libia". Ma sono ancora centinaia i rifugiati che restano nascosti nel paese.
Molti dicono all’UNHCR che le scorte di cibo si stanno esaurendo e vivono in un costante stato di terrore. Lo staff locale dell’UNHCR che opera a Tripoli, insieme ad alcune agenzie partner, continua a offrire assistenza ai rifugiati e ai richiedenti asilo con cui è riuscito a rimanere in contatto.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Ansa, Lasiciliaweb.it, Aise]

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19 marzo 2011
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