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Uomo di ''panza''...

L'autopsia su Daniele Emmanuello ha rivelato che il boss aveva ingoiato dei ''pizzini'' prima di scappare

05 dicembre 2007

E' sconcertante il ritrovamento fatto dai medici legali durante l'autopsia sul corpo del boss di Gela Daniele Emmanuello (che si è conclusa ieri sera, dopo cinque ore), ucciso lunedì scorso dalla polizia mentre tentava di sfuggire alla cattura dopo la scoperta del suo covo nelle campagne di Villarosa (EN).
I medici incaricati dalla procura hanno trovato nell'esofago e nello stomaco del defunto alcuni ''pizzini'' avvolti nella plastica.
Insomma, prima di tentare la fuga il boss latitante aveva provato a far sparire alcuni ''pizzini'' compromettenti, ingoiandoli. In questo modo i messaggi, scritti da altri affiliati alle cosche mafiose, sarebbero rimasti integri e il boss avrebbe potuto successivamente recuperarli.

Ma la corsa disperata del latitante è durata solo trenta metri: un proiettile, sparato dall'alto verso il basso, lo ha centrato alla nuca ed è fuoriuscito da sotto l'ascella. Quindi, stando all'esame autoptico di ieri, Emmanuello è stato ucciso da un solo colpo e non, come si era ipotizzato precedentemente, dopo dalla fuga di due proiettili, come aveva detto il procuratore aggiunto, Renato Di Natale, durante la conferenza stampa.
''L'autopsia - ha spiegato ieri sera Di Natale - ha appurato che ad uccidere il boss è stato solo un colpo, esploso dall'alto verso il basso, che ha raggiunto Emmanuello alla nuca mentre, disarmato, cercava di scendere una scarpata nei pressi della casa di campagna di Villapriolo nella quale si nascondeva da almeno una settimana. Il proiettile, però, fino ad ora non è stato trovato. E ciò renderebbe certamente più difficile individuare l'arma che ha sparato''.
Per questo motivo la procura della Repubblica di Caltanissetta, ha aperto un fascicolo contro ignoti per omicidio colposo in relazione all'uso legittimo delle armi o eccesso colposo. Dovrà infatti essere la perizia balistica ad individuare da chi fra i 30 poliziotti della ''mobile'' che hanno partecipato al blitz è partito il colpo che ha ucciso Emmanuello.

Per quanto riguarda i pizzini ritrovato nello stomaco del capomafia, sono adesso al vaglio degli stessi pm Marino e Liguori, coordinati da Di Natale.
I pizzini, che sarebbero tutti leggibili, non si sa se appartengano ad un unico foglio. Il contenuto viene tenuto comunque ancora riservato. Era tuttavia emerso già da prima che il boss di Gela utilizzava per comunicare con i propri affiliati lo stesso metodo adottato da Bernardo Provenzano e dagli altri capimafia vicini al padrino corleonese.

Intanto nella masseria di Villapriolo, in cui da diverse settimane Emmanuello aveva trovato rifugio, le forze dell'ordine hanno trovato un rilevatore di microspie. Gli investigatori della scientifica hanno anche trovato una carta di identità in bianco e poi ancora una fondina per pistola e numerose cartucce per il fucile trovato accanto al letto in cui dormiva il capomafia ricercato da undici anni e iscritto nell'elenco del ministero dell'Interno dei trenta latitanti più pericolosi d'Italia.

Chi era Daniele Emmanuello - Gli investigatori lo descrivono come un killer feroce in grado, però, di pensare alleanze e strategie. Fedele alleato del boss di Caltanissetta Piddu Madonia, che di lui si fidava tanto da 'delegargli' rapine milionarie in Lombardia e Veneto, Daniele Emmanuello apparteneva ad una storica famiglia mafiosa gelese. Dalla fine degli anni '80 era il gestore degli affari criminali a Gela e nel comprensorio e utilizzava ragazzi anche minorenni, estortori, rapinatori, criminali rampanti, per imporre la propria violenza. Lo zio Angelo, detto 'Furmiculuni', a capo della famiglia di Gela, fu tra le prime vittime della sanguinosa guerra che, negli anni '90, contrappose Stidda e Cosa nostra. Da allora Daniele e i suoi tre fratelli, Alessandro, Nunzio, e Davide, tutti in carcere per associazione mafiosa, e qualcuno per omicidio, avrebbero combattuto a fianco dei mafiosi nella lotta contro gli stiddari.
I primi affari importanti gli Emmanuello li fecero, proprio grazie a Madonia, negli anni '80, partecipando alla spartizione dell'appalto di oltre 300 miliardi per la ricostruzione della diga ''Disueri''. Durante la guerra con la Stidda, che culminò il 27 novembre del '90, quando in quattro agguati simultanei furono uccise otto persone ed altre sette rimasero ferite, gli Emmanuello, decisero di lasciare la Sicilia. La famiglia si divise tra Liguria, Piemonte e Germania. Nel '92, dopo 120 morti, si sancì la tregua.

Ma l'arresto di Madonia, punto di riferimento delle famiglie di Cosa nostra, e la cattura dei vertici della Stidda, disarticolata grazie alle rivelazioni dei pentiti, rimisero in discussione gli equilibri della provincia. La guerra stavolta scoppiò tra le cosche mafiose degli Emmanuello e dei Rinzivillo, fino ad allora alleate. La latitanza di Daniele Emmanuello, oramai diventato capo della famiglia, cominciò nel '96 quando gli investigatori lo indagarono per la morte di uno dei luogotenenti dei Rinzivillo, Maurizio Morreale. Per il delitto il capomafia è stato condannato all'ergastolo, ma la pena non è ancora definitiva. La seconda condanna al carcere a vita gli venne inflitta dalla corte d'assise nissena per il duplice omicidio di Emanuele Trubia, detto 'la belva', e del suo guardaspalle, Salvatore Sultano, anche loro uomini del clan Rinzivillo, trucidati nel '99, in un salone da barba. Nel 2002 arrivarono le due condanne per associazione mafiosa, le uniche ormai definitive: in tutto 10 anni. Processato per l'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, venne assolto.
Da latitante, però, Emmanuello, unico dei 4 fratelli fino ad ieri riuscito a sfuggire alla cattura, continuò a controllare estorsioni e traffico di droga e riuscì a estendere le sue attività oltre la Sicilia. In Friuli una 'cellula' del clan gelese gestiva appalti per suo conto. Miracolosamente sfuggito a due attentati - uno dei quali fallito perché la bomba utilizzata per l'agguato era rimasta inesplosa - avrebbe compiuto 43 anni il prossimo luglio.

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05 dicembre 2007
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