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Va avanti il processo Stato-mafia

Ascoltato il pentito Antonio Galliano. Domani sarà la volta del presidente del Senato Piero Grasso

10 luglio 2014

"Chiediamo di produrre uno stralcio del 'Volume sulla giustizia' a cura della Presidenza della Repubblica Italiana e del Csm, pagine 136 e 137, nella parte in cui è stata resa pubblica la lettera del segretario generale del Quirinale indirizzata al procuratore generale della Corte di Cassazione". Così stamani il pm Nino Di Matteo in apertura dell'udienza del processo per la trattativa Stato-mafia.
E oggi, di fronte alla Corte presieduta da Alfredo Montalto, si è svolto anche l'interrogatorio del collaboratore di giustizia Antonino Galliano.

"'Sentiti 'u buotto!' (senti il botto): così mi dissero domenica 19 luglio Mimmo e Stefano Ganci, pochi minuti prima dell'attentato al giudice Borsellino, in via D'Amelio". È quanto ha raccontato Galliano, rispondendo alle domande del pm Di Matteo. "Quel giorno ero di servizio come portiere alla Sicilcassa in via Cordova ed effettivamente si sentì un gran botto", aggiunge il collaboratore, nipote del boss della Noce, Raffaele Ganci, che lo iniziò in forma riservata nel 1986, "perché  - dice Galliano - essendo diplomato e incensurato, potevo essere utile per intrattenere rapporto con l'esterno e con soggetti non affiliati a Cosa nostra".
Il pentito - condannato per numerosi omicidi tra cui quello dell'ex sindaco di Palermo, Giuseppe Insalaco - si occupò degli appostamenti e dello studio dei movimenti delle scorte dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. E ancora, stando al racconto di Galliano, "Un boss mi disse che Totò Riina partecipava a summit con ministri e generali".

Galliano ha raccontato pure del ruolo da intermediario che Marcello Dell’Utri aveva con Cosa nostra, e che versava i soldi di Berlusconi ad Antonino Cinà. "Tramite mio zio Raffaele Ganci il denaro arrivava a Totò Riina".
Il collaboratore di giustizia ha aggiunto che ci sarebbero state due fasi nel rapporto tra l’allora imprenditore Silvio Berlusconi e la mafia. Il primo, precedente alla guerra di mafia degli anni Ottanta, in cui tramite Dell’Utri l’ex premier avrebbe pagato i boss per assicurarsi la loro protezione a Milano temendo per sé e la sua famiglia. "Dopo la morte di Bontade - ha aggiunto Galliano - ci fu una stasi e Berlusconi non pagava più, né Dell’Utri riceveva più Cinà. Allora - e da qui decorre la seconda fase - Riina, per far tornare Berlusconi a pagare, tramite i catanesi fece mettere una bomba davanti casa sua. A quel punto lui cercò aiuto tramite Dell’Utri e tornò a pagare".

Domani deporrà invece il presidente del Senato, Pietro Grasso, ex procuratore nazionale antimafia e capo della Procura di Palermo che nei giorni scorsi ha confermato la volontà di essere ascoltato nell’aula bunker del carcere Ucciardone, dove quasi 30 anni fa si celebrò il "Maxiprocesso" a Cosa nostra, che vide proprio Grasso come giudice a latere.
Il presidente del Senato è stato citato dai pm in merito alla vicenda delle richieste rivolte dall'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino, imputato di falsa testimonianza, a Loris D'Ambrosio, consigliere giuridico del Quirinale, scomparso nel luglio del 2012. Su questa vicenda, che sfociò nel conflitto di attribuzione sollevato dal presidente Napolitano davanti alla Corte costituzionale per la distruzione delle intercettazioni di sue conversazioni, sarà sentito sempre domani il segretario generale della Presidenza della Repubblica, Donato Marra.

[Informazioni tratte da Repubblica/Palermo.it, Corriere del Mezzogiorno]

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10 luglio 2014
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