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Venti di guerra...

Stati Uniti e Gran Bretagna pronti all'attacco contro la Siria di Assad. La Sicilia, "portaerei" della Nato...

26 agosto 2013

Il presunto attacco con il gas del 21 agosto a Damasco, che secondo l'opposizione siriana ha causato 1.300 morti, ha accelerato il corso degli eventi: Stati Uniti e Gran Bretagna sono pronti a lanciare un attacco missilistico contro il regime siriano e i vertici militari dei due Paesi stanno mettendo a punto la lista degli obiettivi da colpire. Lo scrive la stampa britannica, con il Telegraph che parla di un'azione militare che potrebbe partire entro la prossima settimana, mentre il Daily Mail riferisce che il presidente Usa Barack Obama e il premier britannico David Cameron, in un colloquio telefonico di 40 minuti nel corso del weekend hanno discusso del piano di attacco, che potrebbe essere finalizzato entro 48 ore.

Il presidente siriano Bashar al-Assad, da parte sua, sostiene che le accuse dell'Occidente rivolte al regime siriano in merito al presunto uso di armi chimiche sono "un insulto al buonsenso". "Queste accuse - ha proseguito Assad in un'intervista al quotidiano russo Izvestia - hanno motivazioni politiche e sono suscitate dalla serie di vittorie che le forze del governo stanno ottenendo contro i terroristi". Per il presidente, gli Usa devono sapere che, se decideranno di attaccare militarmente la Siria, "falliranno come in tutte le guerre che hanno scatenato finora, dal Vietnam a oggi". "Possono avventurarsi in qualunque guerra - ha concluso - ma non possono sapere quanto durerà e fin dove arriverà".

Intanto oggi è iniziata la missione degli ispettori Onu alla ricerca di tracce del gas nervino che secondo l'opposizione siriana Assad avrebbe usato nell'attacco di mercoledì scorso. Ma da Washington, Londra e Parigi sono stati già messe le mani avanti: il via libera è tardivo perché con ogni probabilità i tecnici del Palazzo di Vetro non troveranno nulla perché è trascorso troppo tempo. Gli esperti hanno spiegato che dopo 3 giorni (72 ore) è quasi impossibile trovare tracce dei gas, e oggi ne sono trascorsi cinque.
Gli ispettori Onu in Siria sono stati presi di mira da colpi d'arma da fuoco e subito è scattato uno scambio di accuse reciproco tra il governo di Assad e i Ribelli. Alcuni attivisti, del Comitato di coordinamento locale di Muaddamiya, la cittadina dove hanno provato a entrare gli ispettori, dicono che a sparare contro il convoglio di auto sono stati dei cecchini delle milizie fedeli al regime. Mentre la tv di Stato, che citava fonti del ministero per l'Informazione, ha attribuito l'agguato, che non ha comunque provocato feriti, a non meglio precisati "terroristi". Un'espressione che nel linguaggio dei mass media filo-governativi indica i ribelli. Gli attivisti hanno però riferito, che il convoglio degli esperti Onu ha potuto poi riprendere l'ispezione e entrare nella zona sotto assedio da settimane.

Un portavoce delle Nazioni Unite, conferma comunque l'attacco. La missione degli ispettori è stata dunque interrotta:  "Il primo veicolo dell'equipe che indaga sulle armi chimiche è stato deliberatamente e più volte preso di mira con colpi di arma da fuoco da cecchini non identificati", ha raccontato il portavoce Martin Nesirky. "Non sono comunque stati segnalati feriti".

Polveriera araba, la portaerei-Sicilia si prepara alla guerra
di Salvatore Parlagreco (SiciliaInformazioni, 24 Agosto 2013)

Tamburi di guerra, i segnali sono inequivocabili: la Francia e la Gran Bretagna hanno espresso l’avviso che non si possa chiudere gli occhi davanti alle stragi siriane. Un intervento umanitario, dunque. Le immagini di centinaia di uomini, donne e bambini uccise dal gas nervino mostrano una realtà orrenda: la guerra civile in Siria ha raggiunto vette di crudeltà indicibili. E’ lo scenario che anticipò l’intervento della Nato in Libia. Anche allora gli Stati Uniti mantennero un atteggiamento cauto rispetto a francesi e britannici, anche allora la ferocia dei combattimenti fra lealisti e ribelli provocò migliaia di vittime.

La "portaerei" della Nato è la Sicilia. E' dall’Isola che partirebbero le azioni militari della Nato dirette verso la Siria. Non si ha notizia, tuttavia, di un "allerta" nelle basi aeree e navali dell’Isola, anche se nei mesi scorsi c’è stato un rafforzamento dei presidi militari americani con l’arrivo di un contingente di Marines e di una pattuglia di droni, esercitazioni a terra in varie location isolane.
In occasione dell’intervento in Libia la Nato insediò la cabina di regia a Napoli, ma quasi tutte le operazioni partirono dalla Sicilia, soprattutto dalla base aerea di Birgi. Furono giornate difficili, ma nessuno nell’Isola ebbe la sensazione che si rischiasse un coinvolgimento pieno e disastroso, con azioni di rappresaglia che, inevitabilmente, avrebbero potuto interessare l’area operativa.
Oggi le condizioni sono però profondamente cambiate. La Nato non darebbe la caccia al rais siriano, così come fece con il colonnello Gheddafi, ma dovrebbe confrontarsi con nemici molto più pericolosi ed agguerriti. L’Iran sostiene il regime siriano, che è a sua volta sostenuto dalla Russia e, in modo più defilato, dalla Cina.
Ma c’è di più, oggi il Medio Oriente è una polveriera, che può esplodere in qualunque momento, trasformandola in un teatro di guerra senza precedenti, le cui conseguenze non sono prevedibili.

La Sicilia è la "portaerei" meglio armata dell’Alleanza atlantica, il peso dell’eventuale azione militare ricadraebbe proprio su di essa. Dall’Isola partirebbero i droni, gli attacchi aerei e gli interventi di terra. Sarebbe impossibile circoscrivere le operazioni militari alla Siria.
Finora davanti alle coste siriane si sono stabilite unità della marina militare russa, mentre dal Libano e dall’Iran sono arrivati consistenti e determinanti aiuti al regime. La Tunisia destablizzata da crimini politici, la Libia dilaniata da guerriglie tribali, l’Egitto lacerato dalla guerra civile, l’Iraq tornato alle stragi quotidiane, il Libano scosso da attentati sanguinosi e dagli hezbollah "siriani", fanno dello scacchiere mediorientale, una inquietante incognita.
L’Onu è paralizzato dai veti incrociati. La Russia non può abbandonare il Mediterraneo, è l’ultima area di influenza che conserva e non intende mollarla. L’uranio arricchito per l’Iran viene dalla Russia, che può contare sul sostegno della Cina. I cinesi sanno che il ritiro russo dal Mediterraneo aumenterebbe enormemente l’influenza occidentale, soprattutto americana, nell’area. La presenza russa, inoltre, è legata a concreti interessi economici, il bacino energetico pù importante del mondo, il solo che possa competere con le risorse russe.

Gli Stati Uniti hanno annunciato di avere dato incarico ai Servizi segreti di indagare sull’uso del gas nervino e le stragi di bambini che hanno provocato la recente escalation militare nelle cancellerie europee. Le organizzazioni internazionali hanno confermato sia l’uso del gas quanto l’entità dei danni sofferti dalla popolazione civile.
Insomma, le carte sono a posto per l’intervento umanitario in Siria. Obama, però, ha tirato il freno a mano, perché - gli suggeriscono esperienza ed esperti militari - si sa come si comincia e non si sa come si finisce nel pantano mediorientale. Gli Usa non sono nemmeno nelle condizioni di "controllare" le scelte israeliane e turche, alleati difficili: la Turchia conosce anch’essa un periodo d’instabilità e sopporta il peso enorme dei profughi siriani (quasi due milioni); Israele è governato da un "debole" Netanieau, vittima delle sue pericolose contraddizioni ("apre" alla pacificazione con i palestinesi moderati e annuncia la costruzione di nuovi alloggi nell’area "di rispetto").

Saranno le armi a fermare la ferocia dei contendenti e ridare serenità nel Medio Oriente? In caso di intervento della Nato, senza il viatico Onu, come reagiranno gli iraniani ed i russi? Spetterà alla "portaerei" Sicilia "aggiustare" le cose? E che cosa rischia l’Isola dei marines, dei droni, delle basi aeree e navali? Potrebbe trasformarsi in un "bersaglio" per ogni rappresaglia?
Sono domande che dovrebbero farsi a Roma e, anche a Palermo. Il silenzio sui venti di guerra fa paura.

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26 agosto 2013
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