Veronesi e Rubbia a confronto. Il protocollo di Kyoto è insufficiente, come evitare la catastrofe ambientale?
Veronesi: ''solo il nucleare ci salverà''. Rubbia frena: ''non è l'unica alternativa''
di Dario Cresto-Dina (Repubblica.it, 30 maggio 2007)
Dice Umberto Veronesi: ''Il governo italiano deve costruire dieci centrali nucleari nei prossimi dieci anni''. E' il suo modo di allontanare i fantasmi: prenderli di petto, a costo di finire nella bufera. Dall'altra parte del tavolo il premio Nobel per la Fisica, Carlo Rubbia scuote la testa: ''Umberto, non è così che troveremo un equilibrio tra la produzione di energia e i mutamenti climatici''.
Il dialogo tra i due, che saranno assieme a settembre a Venezia nella terza conferenza mondiale sul futuro della scienza voluta dall'oncologo milanese, riapre un dibattito che dividerà ancora una volta la politica e i ricercatori.
Veronesi. ''Ho appena firmato una lettera dell'associazione Galileo 2001 destinata al presidente Napolitano con la quale una parte della comunità scientifica italiana si dichiara preoccupata per la decisione del Parlamento di ratificare il protocollo di Kyoto assumendosi impegni - come quello di ridurre entro il 2012 le emissioni di gas serra del 6,5 per cento - che siamo nell'impossibilità pratica di onorare e che ci costeranno una sanzione di oltre quaranta miliardi di euro. Credo che sia il momento di mettere da parte le posizioni preconcette, le paure e le emozioni. Dobbiamo aprire gli occhi. E' vero, la fonte ottimale di energia in termini di produzione, efficienza, sostenibilità per l'ambiente e per l'uomo, non l'abbiamo ancora trovata, ma oggi il nucleare va considerato concretamente e subito. In Francia ci sono 58 centrali, in Germania 17, in Spagna 9. E' una fonte potente per la quale già disponiamo della tecnologia di sfruttamento e che non comporta rischi per la salute e l'ambiente. Purtroppo la parola nucleare spaventa più degli incidenti che potrebbe causare. Fobie popolari, timori irrazionali e retaggi storici fanno ancora di più dell'allarme cancro e i suoi morti causati dai derivati del petrolio. Allora io dico: basta con il panico da primitivi spaventati dal fuoco''.
Rubbia. ''La situazione critica dell'Italia rispetto a Kyoto è dovuta allo scollamento tra quanto abbiamo sottoscritto e le politiche energetiche del paese. La verità è che Kyoto è largamente insufficiente, l'Unione europea ci chiede una riduzione dell'anidride carbonica del 20 per centro entro il 20020 e del 50 entro il 2050. E' uno sforzo enorme e non può essere risolto con il nucleare che oggi contribuisce solo al 6 per cento al fabbisogno mondiale di energia. Il nucleare classico, compreso quello di quarta generazione, non può aspirare a una diffusione su larga scala soprattutto per i problemi legati alle scorie radioattive di lunga vita''.
Veronesi. ''E' vero, ma non dobbiamo assecondare l'idea che qualsiasi strada si prenda si vada sempre e comunque verso la catastrofe. Un modo concreto per ridurre il rischio dei tumori provocati dall'ambiente è intervenire sulle fonti di energia. Abbandoniamo i combustibili fossili perché ormai sappiamo con certezza che molti prodotti della loro combustione causano il cancro e altre malattie''.
Rubbia. ''Anche se non c'è forma di energia senza pericoli, basta pensare alla tragedia del Vajont, quelli associati a una diffusione planetaria del nucleare, permettimi di dirlo, non sono da sottovalutare e vanno affrontati di concerto tra politica, scienza e opinione pubblica. Ecco il motivo per cui io sono prudente. Vedo una soluzione soltanto, si chiama ricerca e sviluppo. Il mondo sta lavorando. In Cina, in Corea c'è un grande fermento culturale e scientifico. In Europa la Germania, la Finlandia, la Svezia e anche l'Inghilterra stanno facendo molto bene sia dentro le università sia a livello politico. L'Italia non ha neppure un piano energetico e investe nello studio di nuove fonti di energia una quota irrisoria del Pil''.
Veronesi. ''La piaga della ricerca italiana è profonda perché nasce da una cultura scientifica temuta e dimenticata. Una cultura che si trasforma in atti di sfiducia della politica nella capacità degli scienziati di contribuire a risolvere i grandi problemi sociali''.
Rubbia. ''Hai ragione. Ciò che inchioda questo paese è l'immobilismo. Dovremmo domandare ai nostri figli che cosa vogliono per il loro futuro. Perché nessuno lo fa? Forse molti ci direbbero che non stanno troppo male e che sono solo interessati a mantenere il livello di consumismo e di benessere che hanno fin qui ereditato. Oppure qualcuno di loro vorrà affrontare seriamente i problemi dell'energia e dell'ambiente. E' un preciso dovere del mondo politico e economico creare le premesse per dare alle giovani generazioni questa possibilità di esprimersi''.
Veronesi. ''Io sono ottimista. La nostra scienza ha fatto molto. Ha individuato, per esempio, gli elementi ambientali pericolosi per l'uomo e la natura. Ma non per questo dobbiamo entrare nella spirale dell'ansia da inquinamento. Altrimenti non dovremmo respirare all'aperto per le polveri sottili, non fiatare in casa per la formaldeide e l'inquinamento domestico, non coltivare la frutta per i pesticidi, non mangiare per le sostanze tossiche, non produrre beni di consumo per le sostanze chimiche, non telefonare con i cellulari per le radiazioni al cervello... Eppure va detto che molti inquinanti, soprattutto i cancerogeni, sono già sotto controllo. Dobbiamo rinunciare a esistere? Credo sia inutile sparare a zero''.
Rubbia. ''Lo so. Il vero incubo è il cambiamento climatico. Fermarlo non sarà semplice. In questo momento, mentre tu e io parliamo, l'anidride carbonica prodotta dall'incendio di Roma bruciata da Nerone continua a contribuire all'effetto serra e quella che immetteremo nell'aria quando accenderemo il motore delle nostre auto per andare via di qui rimarrà nell'atmosfera per almeno quattromila anni. Abbiamo poco tempo davanti. Non c'è bisogno di vedere il bel film di Al Gore per saperlo. Basta guardare fuori da una finestra e vedere a maggio la luce di agosto, basta ricordare l'inverno senza neve sulle montagne. Entro la fine di questo secolo la temperatura della terra non dovrà aumentare più di due gradi. Ci salveremo solo se cambieremo il nostro modo di produrre energia''.