Crea gratis la tua vetrina su Guidasicilia

Acquisti in città

Offerte, affari del giorno, imprese e professionisti, tutti della tua città

vai a Shopping
vai a Magazine
 Cookie

Via D'Amelio, quattordici anni fa...

E' normale che esista la paura, in ogni uomo, l'importante è che sia accompagnata dal coraggio...

19 luglio 2006

''E' normale che esista la paura, in ogni uomo, l'importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, altrimenti diventa un ostacolo che impedisce di andare avanti''.

E' stato un anno buono per la Giustizia, un anno nel quale eroi come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, di cui oggi ricorre il 14° anniversario dalla sua tragica morte, sono stati celebrati dalle grandi operazioni antimafia, e nel quale il ricordo vivo e grato nei loro confronti si è concretizzato negli arresti dei tanti boss siciliani, uno su tutti quello di Bernardo Provenzano.
Il loro lavoro è stato diligentemente continuato da uomini che come loro hanno dato e danno i giorni della propria vita per la lotta alla mafia, entità maligna che vorrebbe la Sicilia come una fetida cloaca, terra senza legge e senza dignità.
Gli arresti di questo grande 2006 sono dedicati a loro, ai due meravigliosi amici palermitani, al solare Giovanni Falcone e al più schivo Paolo Borsellino, esempi assoluti per tutti.

Via D'Amelio, 19 Luglio 1992...
Era una domenica pomeriggio di 13 anni fa quando il giudice Paolo Borsellino, che stava andando a fare visita alla madre in via D'Amelio, fu fatto saltare in aria in un attentato mafioso. Nella strage di via D'Amelio a Palermo persero la vita insieme al giudice anche cinque agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina, Claudio Traina ed Emanuela Loi, prima donna poliziotto a essere uccisa in un attentato di mafia.
Dopo la strage di Capaci, avvenuta 57 giorni prima, dove aveva perso la vita il suo grande amico e collaboratore, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino sapeva che la mafia lo avrebbe colpito, sapeva che il prossimo che la mafia doveva cancellare dall'esistenza era lui.
Cinquantasette giorni, vissuti dal giudice Borsellino come in preda ad una febbre. ''Devo far presto'' ripeteva, ''Devo cercare di portare a termine il lavoro di Giovanni''...




Cronaca di una morte annunciata
di Michele Guarnieri (www.tifeoweb.it)

Il 25 maggio 1992, pioveva ai funerali di Giovanni Falcone, in Piazza San Domenico a Palermo. Le autorità dello stato accolte dal solito lancio delle monetine, facce imperterrite in cerca di rifugio. La società cosiddetta civile ad attendere in piazza, bloccando buona parte di via Roma. A cerimonia terminata, si poteva scorgere un uomo solo ai margini della piazza, laddove ci si addentra nel dedalo di viuzze chiamato Vuccirìa. Era Paolo Borsellino, e la sua solitudine di quel giorno era sinistro presentimento di quel che sarebbe accaduto da lì a poco.
Tornato alla procura di Palermo soltanto nel dicembre del 1991, dopo la morte di Giovanni Falcone
Paolo Borsellino si dedicò anima e vita a scoprire i retroscena dell'attentato di Capaci, le complicità politiche, raccogliendo le testimonianze del pentito Gaspare Mutolo e diventando di fatto la speranza di riscatto per Palermo e la Sicilia intera. Lui, uomo di destra fin dagli anni degli studi universitari ma innanzitutto uomo delle istituzioni statali, abituato a polemiche di ogni tipo da quando aveva denunciato l'inerzia dello stato di fronte al fenomeno mafioso, spiegò così il suo impegno: ''Non ho mai chiesto di occuparmi di mafia. Ci sono entrato per caso. E poi ci sono rimasto per un problema morale. La gente mi moriva attorno''. Erano morti il capitano Basile con cui aveva lavorato alla sua prima indagine antimafia al tribunale di Palermo, il prefetto Carlo Alberta Dalla Chiesa, Rocco Chinnici il cui pool antimafia aveva scritto pagine importantissime della storia giudiziaria per citare solo alcuni.
L'amico d'infanzia con cui aveva condiviso le più delicate indagini, lo precedette di poco, e Paolo Borsellino era ben conscio del fatto che presto il destino di saltare in aria sarebbe toccato a lui. Al dibattito organizzato il 25 giugno nell'atrio della biblioteca comunale, apparve un giudice più battagliero che mai, ma anche più cupo che mai. Aveva sempre cercato il dialogo soprattutto con i giovani e non si tirava indietro neppure quella sera. Il giorno stesso, aveva appreso che in ambienti carcerari lo si dava per morto. Da lì fino al 19 luglio le notizie che annunciavano l'attentato a lui, si susseguivano in un crescendo sempre più frenetico, fino all'informazione che era arrivato il tritolo.

Raramente nella storia della repubblica italiana, si doveva assistere alla cronaca di una morte annunciata come nel caso di Paolo Borsellino. Eppure non succedeva nulla. Era l'ultimo anno della prima repubblica, tra il potere politico in dissolvimento, le istituzioni allo sbando ed il patto tra pezzi dello stato e crimine organizzato che aveva esaurito le sue funzioni in chiave anticomunista, dopo il crollo del muro di Berlino e dell'intero impero sovietico. I contrasti dentro le istituzioni fecero sì che l'attentato scattasse con precisione, uccidendo Paolo Borsellino insieme alla sua scorta e sventrando le facciate dei palazzi circostanti, il primo pomeriggio di una domenica assolata, davanti alla casa di sua madre.
Antonino Caponnetto, il successore di Rocco Chinnici alla guida del pool fino al 1988, con voce flebile commentò così la tragedia: ''È tutto finito!'' Testimoni, in sintonia con le immagini televisive del luogo del delitto, misero sullo stesso piano Palermo e Beirut. Poi la retorica di circostanza: dopo il 19 luglio nulla sarebbe più rimasto com'era stato prima. In effetti, a Milano cadde la cosiddetta prima repubblica sotto le inchieste di ''Mani pulite''. Crollò l'intero sistema partitico, in piedi da decenni, ma l'ingresso in politica del cantante da pianobar di Arcore sarebbe avvenuto entro poco, così come la ristrutturazione della multinazionale mafiosa e la sua apparente eclissi. Sembrava davvero che tutto fosse finito, nell'eterna indifferenza degli anni che passano, come a conferma della frase gattopardesca che tutto cambia affinché nulla cambi.

Se l'ondata di arresti in seguito alla cattura di Bernardo Provenzano, tange ancora il mondo politico, questo salto di qualità investigativo è forse il maggiore omaggio a Paolo Borsellino, a 14 anni dalla sua morte. Anche perché il suo messaggio resta di estrema attualità: ''I rapporti tra mafia e politica? Sono convinto che ci siano. E ne sono convinto non per gli esempi processuali, che sono pochissimi, ma per un assunto logico: è l'essenza stessa della mafia che costringe l'organizzazione a cercare il contatto con il mondo politico... è maturata nello stato e nei politici la volontà di recidere questi legami con la mafia? A questa volontà del mondo politico non ho mai creduto''.

- Paolo Borsellino: il coraggio e la giustizia

Condividi, commenta, parla ai tuoi amici.

19 luglio 2006
Caricamento commenti in corso...

Ti potrebbero interessare anche

Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia