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Via dall'Iraq sì, ma come?

L'attentato di ieri a Nassiriya non cambierà il calendario del rientro del contingente italiano. L'incognita è il dopo

28 aprile 2006

Sono state le brigate Imam Hussein ad organizzare l'attentato di Nassiriya che ieri è costato la vita di quattro militari, tre nostri connazionali e un soldato rumeno. La rivendicazione è stata rintracciata dall'intelligence italiana su un sito islamista ritenuto riconducibile al terrorista giordano Abu Musab al Zarqawi. Le brigate Imam Hussein sarebbe composto da Baathisti, che potrebbero essere seguaci del leader di al Qaida in Iraq.
Gli organismi investigativi stanno vagliando l'autenticità del documento, altri stanno analizzando ogni particolare al microscopio per capire che tipo di esplosivo sia stato utilizzato e comprendere la dinamica dell'esplosione.
Gli ordigni improvvisati, ritrovati sul luogo dell'attentato, sono simili a quelli che in questi tre anni hanno fatto più di 800 morti fra i militari Stranieri. Dietro la loro fabbricazione ci sarebbero gli esperti del regime di Saddam Hussein: questa la conclusione a cui sono giunti gli artificieri analizzando le bombe.

E mentre si aspetta per domani pomeriggio il rientro in Italia delle salme di Franco Lattanzio, Carlo De Trizio e Nicola Ciardelli, il Consiglio dei Ministri ha emanato un comunicato nel quale si legge del progressivo disimpegno dall'Iraq nel corso d quest'anno. “Quanto è successo conferma la necessità di proseguire senza incertezze l'attività fin qui svolta in stretto coordinamento con le autorità irachene democraticamente elette e con i paesi impegnati nella missione approvata dall'Onu. I nostri sforzi - prosegue il comunicato - sono diretti al progressivo disimpegno nel corso del 2006 della presenza militare e al contemporaneo rafforzamento della componente civile della nostra assistenza alla popolazione”.
Insomma, il governo uscente ha confermato la propria exit-strategy, senza cedere, come ha detto qualcuno, a quello che gli attentatori miravano, ossia un ''effetto Zapatero'', un ritiro immediato delle truppe.

Una exit-strategy non tanto diversa da quella pensata dal governo di centrosinistra che si dovrebbe insediare a giorni, e della quale, comunque, nessuno dell'Unione ha voluto parlare ufficialmente, anche se, assicurano, la questione irachena sarà una delle prime a dover essere risolta dal nuovo governo, come promesso durante i mesi della campagna elettorale. ''Il piano di rientro sarà affrontato e scandito già nel decreto con cui a giugno il Parlamento dovrà rinnovare le missioni all'estero tra cui quella irachena'', ha precisato il responsabile della difesa dei Ds Marco Minniti.
Dicevamo, dunque, di una exit-strategy non tanto diversa da quella del centrodestra, annunciata dal ministro Antonio Martino a gennaio. Da settembre dell'anno scorso al prossimo giugno la missione sarà dimezzata: dei 3.300 iniziali, oggi sono impiegati a Nassiriya 2.600 militari che a giugno saranno "tagliati" di altre mille unità. Poi, come spiegò lo stesso ministro della Difesa, "entro la fine del 2006 è prevista la fine della missione e il contestuale inizio di quella nuova, mista militare e civile".

E sono questi i “ragionevoli tempi tecnici” per la ritirata, proprio come ha anche spiegato un esperto di cose militari del centrosinistra: "l'Unione, ammesso anche che voglia accelerare al massimo il rientro, non può realisticamente chiudere la partita prima della fine dell'estate o dei primi mesi dell'autunno". In una missione militare all'estero, in un contesto di rischio e complesso come quello iracheno, "dove fino all'ultimo uomo che resta laggiù deve essere garantita protezione e copertura logistica e di mezzi", i tempi tecnici del ritiro "non possono essere compressi più di due mesi". Lo stesso Romano Prodi ieri ha detto: "La nostra posizione non è nemmeno lontana da quella che oggi sta esprimendo il governo italiano quando dichiara di ritirarsi entro la fine del 2006".
Quindi, mese più mese meno, potrebbero cadere in autunno i tempi tecnici necessari all'Italia per chiudere Antica Babilonia e ritirare il contingente militare, 3.300 uomini di tutte le forze armate che dal luglio 2003 hanno presidiato e ricostruito Nassiriya e la regione del Dhi Qar sotto il comando alleato inglese. Una ''missione di pace'' costata la vita a 29 militari e sette civili, un bilancio pesante, il terzo per numero di vittime tra tutti i paesi della coalizione.

E dopo cosa succederà? E i rapporti con l'amico (di Berlusconi) Bush e di Blair? E gli aiuti al governo iracheno?
E' questo il problema vero che dovranno affrontare le tante e divergenti anime dell'Unione. Il programma (il librone giallo), da questo punto di vista, è una coperta che copre tutti ma volutamente non chiarisce. A pagina 104 nel capitolo "Noi e gli altri", nel sotto capitolo dedicato all'Iraq, si legge: "Se vinceremo le elezioni, immediatamente proporremo al Parlamento italiano il conseguente rientro dei nostri soldati nei tempi tecnicamente necessari definendone, anche in consultazione con le autorità irachene, le modalità affinché le condizioni di sicurezza siano garantite". E poi la scommessa più difficile: "Il rientro sarà accompagnato da una forte iniziativa politica in modo da sostenere nel migliore dei modi la transizione democratica dell'Iraq".
"Cosa significherà cambiare il profilo della missione da militare a civile con lo scudo di una piccola aliquota militare, è questione da concordare con il governo di Bagdad" aggiunge Minniti.

La coperta del programma inizierà a diventare troppo corta proprio partendo da questo punto. "Autodeterminazione del popolo iracheno" dice la sinistra radicale. "Aiuti, ricostruzioni, missione mista" insiste l'Ulivo.
Ci sarebbe poi il capitolo soldi. Che spesa di bilancio può ancora sopportare l'Italia per l'Iraq?
E questo è un altro bel capitolo che i futuri governatori d'Italia dovranno chiarire a noi tutti e... a loro stessi.


- "In nome del petrolio - La verità scomoda" inchiesta di RaiNews24 del 13 Maggio 2005

 

 

 

 

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28 aprile 2006
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