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Violante sui ''rapporti'' tra mafia e Stato

L'ex presidente della Camera ha parlato con i pm di Palermo. Primi riscontri con le parole di Ciancimino jr.

24 luglio 2009

L'inchesta della Procura di Palermo, condotta dai pm Antonino Ingroia e Nino Di Matteo, sulle presunte collusioni tra uomini delle istituzioni ed esponenti mafiosi prima, durante e dopo le stragi del '92 nel capoluogo siciliano, ieri si è arricchita della testimonianza dell'ex presidente della Camera Luciano Violante. Questi è stato presidente della Commissione Parlamentare Antimafia dal settembre 1992 al marzo 1994, (nel periodo dopo le stragi e nella stagione di processi a politici e uomini dello Stato) e in questo ambito - ha riferito lui stesso - sarebbe stato ascoltato in procura dove in due ore d'interrogatorio ha ricostruito alcuni episodi vissuti in quegli anni.

L'inchiesta sulla presunta trattativa intavolata da Cosa nostra con esponenti istituzionali per alleggerire la posizione dei boss (dentro e fuori il carcere) è aperta da diversi mesi e non è la prima su questo fronte investigativo: erano già stati indagati Totò Riina, il medico-boss Antonino Cinà e altri. L'indagine è parallela - e a tratti convergente - con quella della procura di Caltanissetta, che indaga da anni (chiudendo e aprendo diversi fascicoli come quello su Bruno Contrada) sui mandanti occulti delle stragi di Capaci e di via D'Amelio in cui furono uccisi Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, e Paolo Borsellino, oltre a 8 agenti della polizia di Stato, e delle procure di Milano e Firenze dove avvennero le stragi attribuite alla mafia nel '93. Tutte le procure si avvalgono delle dichiarazioni di Massimo Ciancimino, condannato per riciciclaggio del denaro mafioso accumulato da suo padre Vito, corleonese, ex sindaco di Palermo condannato per mafia e morto nel 2002 a Roma, che con la sua testimonianza ha fatto aprire, (o ha dato impulso) diversi filoni d'inchiesta in cui sono coinvolti politici, magistrati, persone dei servizi segreti e delle istituzioni.
Ciancimino jr., inoltre, sarebbe in possesso di documenti d'interesse investigativo sui rapporti mafia-Stato, ereditati dal padre, in parte già consegnati alla procura palermitana, e del famoso "papello" cioè le carte contenenti le richieste di Totò Riina allo Stato per far cessare la stagione stragista. Oltre alle dichiarazioni di Massimo Ciancimino i magistrati palermitani hanno agli atti dell'inchiesta dichiarazioni di diversi pentiti, tra cui Giovanni Brusca e Gaspare Spatuzza. Quest'ultimo è un collaboratore molto importante anche per la procura nissena in quanto sta ribaltando le ricostruzioni della strage di via D'Amelio, fatte da altri pentiti come Scarantino e Candura. Le dichiarazioni di Spatuzza sono importanti anche per la Difesa di alcuni condannati per la strage che puntano al processo di revisione. I magistrati di Palermo hanno agli atti anche gli interrogatori di esponenti delle forze dell'ordine come il colonnello dei carabinieri Michele Riccio che ascoltò le dichiarazioni del mafioso Luigi Ilardo, suo confidente. Ora l'ufficiale riporta ciò che gli disse il boss, sia in diversi verbali che nei processi come in quello, per favoreggiamto aggravato, al generale dei carabinieri Mario Mori e al colonnello Mauro Obinu, accusati di aver favorito la latitanza di Bernardo Provenzano.

Ritornando alla deposizione di Luciano Violante, secondo alcune indiscrezioni l'ex presidente della Camera con i pm avrebbe anche parlato della richiesta di un incontro avuta da parte di Vito Ciancimino, proprio quando era presidente della commissione antimafia. Vito Ciancimino avrebbe fatto avere la richiesta a Violante attraverso un ufficiale dei carabinieri. L'ex parlamentare, infatti, avrebbe ricevuto nel 1992 la richiesta dell'allora colonnello del Ros, Mario Mori, di incontrarlo riservatamente, ma il politico non accettò l'invito.
Dunque, gli elementi che vengono fuori dalla deposizione di Violante posso essere letti come i primi riscontri al racconto di Massimo Ciancimino sulla trattativa fra Cosa Nostra e pezzi delle istituzioni. Il figlio dell'ex sindaco aveva parlato di "garanzie politiche" chieste da suo padre al colonnello Mario Mori: "Della trattativa doveva essere informato il presidente della commissione antimafia Luciano Violante. Un altro misterioso interlocutore aveva invece detto che il ministro Mancino già sapeva". Queste rivelazioni di Massimo Ciancimino sono apparse nei giorni scorsi sui giornali. Dopo averle lette, Violante ha contattato i magistrati di Palermo, chiedendo di essere ascoltato. Ieri mattina, davanti al procuratore aggiunto Antonio Ingroia e al sostituto Roberto Scarpinato, ha spiegato che per davvero qualcuno gli chiese di incontrare "in modo riservato, a quattr'occhi" Vito Ciancimino. Per don Vito, secondo il figlio, l'ex presidente della Camera rappresentava il politico che in quel periodo poteva offrire maggiori garanzie, perché non coinvolto in Tangentopoli come altri, e poi, "perché era la cerniera fra la politica e la magistratura", e avrebbe potuto far qualcosa, secondo il dichiarante "per il processo in Cassazione che all'epoca aveva mio padre".

La testimonianza resa ieri da Violante serve molto ai magistrati di Palermo proprio per trovare le conferme alle de­posizioni di Ciancimino jr. Tuttavia il fulcro di ciò che il figlio del­l’ex sindaco sta dicendo da mesi in verbali e interviste co­stellate di versioni a volte di­verse, annunci e rinvii, resta l’archivio di carte e registrazio­ni di Ciancimino senior e il "papello", che il testimone nonché condanna­to in primo grado per riciclag­gio dice di avere ma non ha an­cora consegnato agli inquiren­ti.
Qualche giorno fa, il "capo dei capi" della mafia, Totò Riina ha manda­to a dire attraverso il suo avvo­cato, Luca Cianferoni, che col "papello" non ha nulla a che ve­dere e che i responsabili della morte del giudice Borsellino ­trucidato 57 giorni dopo Gio­vanni Falcone - vanno ricerca­ti tra coloro che fecero la cosid­detta trattativa, "di cui io sono stato oggetto, non soggetto". Oggi, nel carcere milanese di Opera dov'è rinchiuso, Totò Ri­ina sarà interrogato dai pm della procura della Repubblica di Caltanissetta titolari delle inchieste ancora aperte sulle stragi che uccisero Falco­ne e Borsellino. L'iniziativa del procuratore Sergio Lari è collegata alle dichiarazioni di Riina rese note nei giorni scorsi proprio da Cianferoni ad alcuni organi di stampa.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Ansa.it, La Siciliaweb.it, Repubblica.it, Corriere.it]

- "Dalla 'svista' su Riina a don Vito. I misteri del generale-negoziatore" di A. Bolzoni

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24 luglio 2009
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