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Volevano uccidere Di Matteo e Lumia...

... ma anche De Lucia e Prestipino. Il pentito Lo Verso nel processo sulla trattativa Stato-mafia

11 aprile 2014

Nel processo sulla presunta trattativa Stato-mafia ha deposto ieri a Palermo il pentito Stefano Lo Verso, interrogato dal pm Nino Di Matteo.
Durante l'interrogatorio, il collaboratore di giustizia ha rivelato che "il clan di Bagheria voleva eliminare il magistrato Di Matteo e l'onorevole Beppe Lumia. Di Matteo era temuto perché era il più tosto dei Pm. Poi però il progetto non fu portato a termine perché non era il momento opportuno visto che c'era un processo in corso".

Oltre al pm Nino Di Matteo Cosa nostra aveva un conto in sospeso con i magistrati Maurizio de Lucia e Michele Prestipino. "Quando entravano nell'aula durante il nostro processo - ha raccontato il collaboratore di giustizia - passavano davanti alle gabbie in cui ci trovavamo e ci guardavano con aria di sfida e alcuni gliel'avevano giurata". Maurizio de Lucia, per anni alla Dda di Palermo, autore delle maggiori indagini sui clan e sulle estorsioni, è ora alla Dna, mentre Michele Prestipino, il pm che coordinò l'inchiesta sulla cattura del boss Bernardo Provenzano, è procuratore aggiunto a Roma.

Nel processo sono entrate anche le presunte rivelazioni dell'ex manager della sanità privata Michele Aiello, in cella per scontare una condanna per mafia. Lo Verso ha raccontato di avere ricevuto le confidenze di Aiello mentre entrambi erano detenuti nel carcere Pagliarelli. L'ex imprenditore gli avrebbe riferito del ruolo di "un ministro sardo" nelle rivelazioni di notizie riservate all'ex governatore Cuffaro. "Io e Totò Cuffaro siamo in carcere - avrebbe detto Aiello al collaboratore di giustizia - Ma la persona che avvertì Cuffaro perché non l'hanno arrestata? Il ministro sardo l'ha fatta franca". Il riferimento è alla fuga di notizie sulla presenza di cimici nella casa del boss Giuseppe Guttadauro, costata a Cuffaro una condanna per favoreggiamento alla mafia: il pentito, però, confondendosi, nella sua deposizione parla di una rivelazione di notizie su un latitante.

Il nome di Cuffaro viene ripetuto anche quando Lo Verso racconta di quando ospitò Binnu in casa. "Nel 2004 ospitai Provenzano, che era latitante, a casa di mia suocera. Solo dopo qualche giorno seppi l'identità dell'uomo che nascondevo e mi spaventai. Lui mi tranquillizzò dicendomi: 'stai sereno, non mi cerca nessuno perché sono protetto dai politici e da alti funzionari dell'Arma'. Io allora volli capire se si trattava di carabinieri e lui assentì. E aggiunse 'meglio avere uno sbirro amico che un amico sbirro'".
Il particolare è importante per l'accusa che sostiene che i carabinieri del Ros, imputati al processo, garantirono l'impunità al boss corleonese in nome della trattativa che con lui avevano avviato. Il capomafia avrebbe anche aggiunto: "Totò Cuffaro deve mantenere gli accordi".

"Provenzano mi disse che le stragi erano state la rovina. Mi disse: ‘Da 12 anni non vivo con la mia famiglia e da 3 non vedo mia moglie e i miei figli’". Secondo il collaboratore di giustizia, Provenzano gli disse anche: "Eravamo in 5 a conoscere la verità. Ora siamo rimasti io, Totuccio (Riina) e Andreotti. Lima è stato ucciso e quell'altro, Ciancimino, probabilmente pure". Sempre attribuendo queste dichiarazioni a Provenzano, Lo Verso ha poi affermato che "Falcone e Borsellino morirono perché avevano individuato la radice di tutto. E siccome Andreotti lo aveva garantito in passato, io non potevo mettermi contro Totuccio". Secondo il collaboratore di giustizia il boss Provenzano gli avrebbe confidato il boss Totò Riina "con le stragi doveva fare un favore a Andreotti che l'aveva garantito".

Lo Verso ha detto ancora che Provenzano, dopo le stragi, gli disse pure che "Dell'Utri aveva cercato i suoi uomini, aveva preso il posto di Salvo Lima ed era diventato il loro referente". Il boss Corleonese avrebbe anche aggiunto: "nel 1994 Forza Italia in Sicilia l'ho fatta votare io".
Il boss di Villabate Nicola Mandalà, nel 2003, avrebbe rivelato a Stefano Lo Verso, uomo d'onore ora pentito, che aveva "nelle mani Marcello Dell'Utri, il socio e amico Renato Schifani e il paesano di Ciccio Pastoia, Saverio Romano", ha rivelato ancora Lo Verso. La confidenza, Mandalà gliela avrebbe fatta in occasione di una querelle sorta in merito alla realizzazione di una chiesa. "Gli chiesi aiuto - ha aggiunto - perché i lavori non partivano e lui mi rassicurò dicendo che se la sarebbe sbrigata lui grazie alle sue conoscenze".

[Informazioni tratte da ANSA, Lasiciliaweb.it, Repubblica/Palermo.it]

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11 aprile 2014
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