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XLVII Ciclo di Spettacoli Classici

Al Teatro Greco di Siracusa "Filottete" di Sofocle, "Andromaca" di Euripide, "Le Nuvole" di Aristofane

13 maggio 2011

Il XLVII Ciclo di Spettacoli Classici si è aperto con Filottete di Sofocle, nella traduzione di Giovanni Cerri, per la regia di Gianpiero Borgia. A seguire, la rappresentazione di Andromaca di Euripide, nella traduzione di Davide Susanetti, per la regia di Luca De Fusco. Le scene e i costumi sono di Maurizio Balò.
Gli spettacoli andranno in scena a giorni alterni fino al 19 giugno. Dal 24 al 26 giugno sarà in scena Le Nuvole di Aristofane, per la regia di Alessandro Maggi.
Il XLVII Ciclo di Spettacoli Classici dà voce a due tragedie poco rappresentate ma di particolare intensità, per certi versi due drammi della crisi (composti, così come la commedia in cartellone quest'anno, nel periodo difficile della guerra peloponnesiaca), che portano in scena figure di grande dignità e nello stesso tempo relegate ai margini. Ostaggi di una umanità meschina, di un destino che appare senza via di uscita, intrappolate da regole anguste di convivenza sociale o dalla loro stessa inflessibilità.

Per il terzo anno consecutivo la Fondazione INDA compone in un dittico i drammi di Sofocle e Euripide approfondendo una indagine condotta su due filoni complementari. Con Andromaca torna in scena una tragedia del dopoguerra: qui non assistiamo alla deportazione delle "principesse schiave" - come in Ecuba e Troiane (INDA 2006) - condotte in Grecia come trofeo dai vincitori-padroni, ma a ciò che accadde "dopo" ad una di loro, alla contraddittoria integrazione nella nuova casa di una concubina malvoluta dalla moglie legittima. Dopo la guerra di Troia Andromaca è toccata in sorte a Neottolemo, da cui ha avuto un figlio, mentre la sposa greca Ermione, figlia di Elena e Menelao, unendo alla gelosia la preoccupazione per la propria sterilità, cova dentro le mura domestiche un odio tale da divenire minaccia, impulso omicida.
Euripide riprende qui il tema del doppio talamo, delle nozze legittime contrapposte all'unione con una donna "barbara" priva di riconoscimento sociale. Come Medea (INDA 2009), sebbene con esiti ed uno sviluppo del personaggio molto diversi, Andromaca incarna il fragile statuto della straniera, rispetto alla sposa greca condannata alla emarginazione. I personaggi femminili di questo dramma si fanno anche portatori di due diverse visioni del gamos. Andromaca donna del buonsenso, unisce alla fedeltà la sopportazione e la mitezza, ma è anche provata e temprata da un dolore che la sua antagonista non è in grado di comprendere. Ermione, giovane e impulsiva, volubile fragilissima creatura, rivendica una assolutezza nel gamos cui associa, malcelando la propria frustrazione, una forma di competizione con il marito. Ma emerge anche un secondo leitmotiv interno al dramma: la violenza dell'eros, il potere distruttivo insito nella passione incontrollata, compressa dentro le mura domestiche e nel contempo alimentata da questa stessa repressione. L'ombra lunga di Fedra (INDA 2010) sembra toccare anche la fragile Ermione. Questo rischio è sottolineato anche dal vecchio Peleo, che nell'agone con Menelao fa riferimento ad Elena di Sparta, la donna perversa per eccellenza, alludendo al rischio che Ermione ne abbia ereditato la natura sessualmente avida, l'impudica insaziabilità.
Una indagine sulla femminilità, dunque, declinata da Euripide tra eros e gamos, nei suoi aspetti più complessi e censurati (inclusi i vincoli imposti dall'universo maschile…), che conferisce alla Andromaca, all'interno di una struttura drammaturgica fortemente dinamica, una sostanziale unità tematica.

Il conflitto tra individuo e società, ma soprattutto la natura dell'eroe tragico portatore di un destino misterioso e dato dagli dei, è al centro del Filottete, che l'INDA mette in scena seguendo il solco tracciato con Edipo a Colono e Aiace, rappresentati negli ultimi due Cicli al Teatro Greco di Siracusa. Come Edipo, Filottete vive un costante contrasto tra potere e fragilità, precipita nella sventura sino ad essere "nulla", diviene per una volontà imperscrutabile fonte di salvezza.
Oggetto prima di emarginazione e poi della rapacità degli uomini, che ora cercano di manipolarlo avendone scoperto il "potere" (solo il suo arco potrà distruggere Troia), Filottete attraversa un conflitto interiore dilaniante, una collera tanto "giusta" quanto lacerante e selvaggia, che dovrà superare per accogliere e realizzare quel destino, quella missione che gli dei gli hanno affidato. Morto Aiace, Filottete rimane l'ultimo degli eroi, testimone e portatore di quel mondo di guerrieri-leoni sempre più lontano, costantemente minacciato dalle volpi come Ulisse, che anche qui (come in Aiace) quasi nulla mantiene del personaggio omerico ma diviene simbolo delle devastazioni prodotte dall'uso distorto della parola, sofista, politico corrotto, capro espiatorio di tutta una generazione tradita che assiste impotente al declino della polis ateniese. Vilipeso e abbandonato dai compagni, Filottete ha però una seconda possibilità: quaranta anni dopo la scrittura dell'Aiace, Sofocle torna in qualche modo sugli stessi passi, e "salva" il protagonista, accostandogli un amico umano (Neottolemo) ed un amico divino (Eracle). La philia salva Filottete dal destino di Aiace, lo riabilita dinanzi a se stesso (ma anche altrove: cosa sarebbe Edipo senza Teseo?) offrendogli una visione diversa, mostrandogli una responsabilità che va al di sopra delle sue inimicizie personali. E se ciò non risolve la contraddizione, il problema della giustizia, il fatto che esista un mondo dove gli Aiace e gli Achille sono morti e solo gli Ulisse e i Tersite prosperano, in qualche modo illumina, dà un senso al compito dell'uomo di riconoscere e partecipare al destino più grande al quale è legato il suo destino personale.

Come i buoni amici possono salvare gli eroi, i cattivi amici ed i cattivi insegnamenti possono portare distruzione. E' ciò che accade nel terzo dramma in cartellone per il XLVII Ciclo di Spettacoli Classici, Le Nuvole di Aristofane. In scena, attraverso il vecchio Strepsiade, il figlio Fidippide ed un Socrate rivisitato provocatoriamente, la crisi di valori in cui versa Atene travolta dall'uso corrotto della conoscenza, dall'abuso della parola per sovvertire il diritto a proprio vantaggio, dai veleni seminati dal "Discorso Ingiusto". Ma qui le "volpi" finiranno con il cadere vittime di se stesse, in un riso liberatorio che è denuncia e antidoto insieme per esorcizzare i mali, di un tempo che è anche nostro.

A N D R O M A C A
di Euripide (Datazione: Intorno al 427 a.C.)

La vicenda si svolge in Tessaglia, a Ftia, dinanzi al tempio di Teti e presso la reggia di Neottolemo, figlio di Achille. Andromaca, dopo la caduta di Troia e l’uccisione del marito Ettore e del figlio Astianatte, è divenuta schiava di Neottolemo, da cui ha avuto un figlio, Molosso. La “principessa-schiava” incorre nella gelosia di Ermione, sposa legittima di Neottolemo e figlia di Elena e Menelao: si rifugia dunque presso l’altare del santuario, minacciata a morte da Ermione che la accusa di esercitare su di lei arti magiche per renderla sterile e potere così prendere il suo posto nella casa dello sposo.

Nel timore di rappresaglie, durante l’assenza di Neottolemo che si è recato in pellegrinaggio a Delfi, Andromaca ha mandato Molosso lontano dalla reggia. Ma un’ancella avverte Andromaca che Ermione sta tramando di imprigionarle il figlio e di ucciderlo insieme con lei, e la esorta a chiedere aiuto al vecchio Peleo, padre di Achille. Nel frattempo giunge Ermione, che attacca duramente Adromaca, ostentando ricchezza e potere per umiliare la prigioniera.
Andromaca risponde a tono, smascherando le meschine "ragioni" di Ermione, ma la situazione precipita quando giunge Menelao che ha catturato Molosso ed ora minaccia di ucciderlo se la madre rifiuta di abbandonare l’altare che la protegge. Quando Andromaca si consegna a lui, Menelao rivela il tranello, minacciando la vita di entrambi. Solo l’arrivo tempestivo di Peleo riesce a salvarli, dopo un aspro confronto con il re spartano a cui il vecchio padre di Achille rimprovera di aver scatenato, per una donna da poco, una guerra foriera di lutti e dolore. Attraverso le parole e le azioni dei protagonisti di questo dramma esplode a tutti i livelli lo spettacolo di una violenza universale, che permea e corrompe ogni cosa. Con un pretesto Menelao si ritrae, abbandonando vilmente la figlia alla sicura vendetta di Neottolemo. Costei, per la paura e per l’affronto subito, tenta di suicidarsi, ed è a stento trattenuta dalla nutrice.

A questo punto giunge Oreste, figlio di Clitennestra e Agamennone, in cerca di Ermione che lo supplica di salvarla; a lei rivela di aver già messo in atto un piano di vendetta contro Neottolemo con cui era entrato in conflitto proprio per la mano della ragazza. Ermione era stata infatti promessa in sposa ad Oreste, ma successivamente Menelao aveva ritrattato, destinandola al figlio di Achille se fosse riuscito ad abbattere la città. Neanche Neottolemo aveva tenuto in conto le richieste di Oreste, a cui anzi aveva rinfacciato il matricidio commesso.

La rete di morte e vendetta creata da Oreste contro il rivale, l’assassinio del figlio di Achille, è narrato da un messaggero. Oreste ha istigato gli abitanti di Delfi contro di lui, suscitando in loro il sospetto che egli volesse depredare il santuario dei tesori offerti dai devoti. Credendo alla calunnia, senza esitazione, i Delfici tendono un agguato al sovrano e fanno scempio del suo corpo, bersagliandolo con dardi e pietre per poi gettarlo fuori dallo spazio sacro. Il cadavere del re è portato sulla scena e condotto a sepoltura da Peleo, confortato dalla sua sposa divina, Teti.
La dea ordina che Andromaca si trasferisca nella terra dei Molossi, dove sposerà Eleno, (figlio di Priamo, sopravvissuto alla guerra). Da Molosso nascerà una dinastia che governerà quella terra. Teti libererà Peleo “dai mali degli uomini” e lo renderà suo sposo immortale.


Traduzione Davide Susanetti
Regia Luca De Fusco
Scene e costumi Maurizio Balò
Musiche Antonio Di Pofi
Coreografie Alessandra Panzavolta
Direttore di scena Marco Albertano
Direzione del Coro Simonetta Cartia
Interpreti e personaggi: Laura Marinoni (Andromaca); Anna Teresa Rossini (Serva); Roberta Caronia (Ermione); Paolo Serra (Menelao); Gabriele Fichera (Figlio di Andromaca); Mariano Rigillo (Peleo); Nunzia Greco (Nutrice); Giacinto Palmarini (Oreste); Massimo Nicolini (Messaggero); Gaia Aprea (Teti); Elena Polic Greco (Prima Corifea).

F I L O T T E T E
di Sofocle (Datazione: 409 a.C.)

La tragedia è ambientata sull'isola di Lemno. Filottete, partecipe della spedizione contro Troia, è stato morso da una vipera che gli ha procurato una ferita insanabile e infetta. I Greci, non sopportando la compagnia e le urla dell'ammalato, lo hanno abbandonato sull'isola di Lemno con l'arco che aveva ricevuto in dono da Eracle. Ma solo ora, sotto le mura di Troia, un vaticinio svela che proprio quell'arco costituisce l'unica arma in grado di debellare la resistenza dei Troiani: l'abbandonato, l'escluso, diviene improvvisamente il perno della conquista della città nemica.
Odisseo e Neottolemo, il giovane figlio di Achille, giungono dunque sull'isola per recuperare ad ogni costo Filottete ed il suo arco. Il dramma sofocleo si apre con l'approdo dei due uomini a Lemno, terreno aspro, roccioso, pieno di grotte: in una di queste l'eroe malato trascorre i suoi giorni. Odisseo, in questa tragedia meschino macchinatore, coinvolge Neottolemo in una messinscena creata ad arte: dovrà avvicinare Filottete e raccontargli di essere stato offeso dagli Atridi (che lo hanno defraudato delle armi del padre), fingendo di essere nemico loro e di Odisseo, per guadagnarsi così, in virtù delle ingiustizie subite dai comuni nemici, la confidenza e la fiducia di Filottete. Questa "missione" sarà per Neottolemo fonte di gloria, poiché lo renderà protagonista della vittoria contro i Troiani.

Come previsto, quando Filottete apprende la falsa notizia per cui Neottolemo, abbandonata la guerra, sta per rientrare in patria, lo supplica di accoglierlo nella sua nave e di portarlo con sé; ad accelerare i tempi, rendendo ancora più urgente la partenza, sopraggiunge un mercante – in realtà un marinaio mandato da Odisseo sotto mentite spoglie – che annuncia l'imminente arrivo dei Greci in cerca di Neottolemo e Filottete. Una minaccia, dunque, per i loro piani di fuga. I due stanno per imbarcarsi quando, poco prima di lasciare l'isola, Filottete è colto da un accesso del suo male: in preda al dolore e al delirio, affida all'amico l'arco e le frecce, esprimendogli la sua fiducia e chiedendogli di non abbandonarlo.
Passata la crisi, Neottolemo, logorato dal rimorso, svela la verità a Filottete che ora chiede indietro le sue armi, con parole piene di disperazione, imprecando contro di lui. Il giovane sta per restituire l'arco, quando sopraggiunge Odisseo che, non visto, ha vigilato sulla intera azione.
Filottete affronta a viso aperto il suo più grande nemico, che ostenta autorità con la pretesa di parlare nell'interesse comune. L'eroe esprime ora tutta la sua amarezza, lo sconforto per la ingiustizia subita, l'odio verso i nemici, e non muta posizione neanche quando Odisseo minaccia di lasciarlo sull'isola, solo, senza quell'arco che è per lui fonte di sopravvivenza.

Il dramma dell'inganno e dell'abbandono diviene a questo punto il dramma della pietà, del ripensamento. L'arco di Eracle rimasto a Neottolemo è per lui fonte di continuo rimorso; ma ora la ribellione contro le astuzie macchinate da Odisseo, che solo a tratti si era manifestata nel giovane, diviene sempre più netta, decisa. Finalmente, dopo un lungo travaglio interiore, Neottolemo assume una posizione autonoma rispetto alla strategia da seguire: restituisce l'arco a Filottete e nello stesso tempo cerca di convincerlo a partire con lui, servendosi non più dell'astuzia ma della persuasione, facendo appello ad altri valori.
Nonostante l'intensità del dialogo e la vicinanza tra i due personaggi, Filottete rimane trincerato nel suo rifiuto: non sembra possibile alcuna soluzione, se non l'affermarsi vittorioso della volontà dell'eroe.
La sua irremovibilità di fronte ad ogni tentativo di convinzione sarà risolta nel finale dall'intervento ex machina di Eracle; i destini di Neottolemo e Filottete sono indissolubili, poiché soltanto insieme potranno espugnare la città, come Eracle sottolinea, rivolgendosi al figlio di Achille dopo aver vaticinato la guarigione di Filottete:"Né tu, senza di lui, hai la forza di conquistare Troia, né lui senza di te. Come due leoni cresciuti insieme, sostenetevi l'un l'altro".
E adesso, insieme, salpano a conquistare Troia.


Traduzione Giovanni Cerri
Regia Gianpiero Borgia
Scene e costumi Maurizio Balò
Musiche Papaceccio, Francesco Santalucia
Coreografie Vasiliy Lukianenko
Direttore di scena Giuseppe Musso
Direzione del Coro Salvo Disca
Interpreti e personaggi: Antonio Zanoletti (Odisseo); Massimo Nicolini (Neottolemo); Sebastiano Lo Monaco (Filottete); Daniele Nuccetelli (Mercante); Giacinto Palmarini (Eracle); Salvo Disca, Giovanni Guardiano (Capo Coro Marinai).

L E  N U V O L E
di Aristofane ('Le Nuvole' furono rappresentate alle Dionisie nel 423 a C. Il testo a noi pervenuto è però l'esito di una rielaborazione successiva, svolta dall'autore negli anni compresi tra il 422 e il 417 a.C.)

Il vecchio Strepsiade è sull'orlo della bancarotta per via dei debiti contratti dal figlio Fidippide a causa della sua passione per i cavalli. Per questa ragione, cerca di invogliarlo a frequentare la scuola di Socrate ed imparare a rendere più forte il discorso più debole, così da poter vincere sui creditori servendosi in tribunale di argomenti ingiusti. Dinanzi al rifiuto del figlio, Strepsiade si reca di persona dal celebre filosofo, che gli appare sospeso in aria, assorto a scrutare i fenomeni celesti. Per ottenere quanto desidera – afferma il maestro – Strepsiade dovrà abbandonare gli dei tradizionali ed affidarsi alle Nuvole, le sole divinità.
Le lezioni tuttavia confondono le idee a Strepsiade, che viene cacciato per la sua stoltezza ed ora costringe il figlio ad andare a scuola da Socrate per apprendere i due discorsi: quello Migliore e, soprattutto, quello Peggiore, che sostenendo il torto è in grado di capovolgere il primo. I due discorsi, personificati, si affrontano ora in un agone, che termina con la vittoria del Discorso Peggiore, a cui Fidippide viene "affidato" per imparare a stravolgere il diritto a proprio vantaggio. Grazie agli insegnamenti del Discorso Peggiore i creditori sono infatti annientati, ma questa abilità si ritorce ora contro il vecchio Strepsiade, quando viene picchiato dal figlio che riesce persino a giustificare l'azione supportato dalla acquisita arte della parola. Se i genitori picchiano i figli "per il loro bene", questi possono fare altrettanto e rendere loro il favore. Per di più, è giusto che i vecchi le prendano, perché meno dei giovani dovrebbero sbagliare... La prevaricazione verbale di Fidippide si amplifica in un crescendo che lo porta a minacciare di picchiare anche la madre. A questo punto Strepsiade, pentito delle proprie azioni e di aver rinnegato gli dèi, si precipita verso il pensatoio di Socrate per dargli fuoco.


Personaggi in ordine di apparizione: Strepsiade, Fidippide, Servo, Discepoli di Socrate, Socrate, Coro delle Nuvole, Discorso Migliore, Discorso Peggiore, Primo Creditore, Secondo Creditore.

- IL CALENDARIO

Tutte le informazioni sul XLVII Ciclo di Spettacoli Classici: www.indafondazione.org

[Foto di di scena: G.L. Carnera, C. Aviello, R. Strano]

- Manifesto per il XLVII Ciclo di Spettacoli Classici

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13 maggio 2011
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