Yemen: terreno fertile per i terroristi
Il ministro degli Esteri yemenita: ''L'instabilità delle province del sud fa dello Yemen un terreno fertile per l'esecuzione dei piani dei terroristi''
Il vice premier yemenita con delega alla Difesa e alla Sicurezza, Rashad al-Alimi, ha affermato ieri mattina che il leader locale di al-Qaeda, Mohammed Ahmed al-Hanaq, non è stato arrestato nell'operazione condotta mercoledì mattina dalle forze yemenite in un ospedale di Sana'a, come invece sostenevano alcuni media. Il vice premier, citato da 'News Yemen', ha aggiunto che l'uomo "è ancora in fuga".
Già l'altro ieri una fonte della sicurezza di Sana'a aveva dichiarato ad Aki-Adnkronos International che al-Hanaq "non è stato arrestato", precisando che proprio dall'uomo "sono arrivate le minacce all'ambasciata degli Stati Uniti" che domenica hanno spinto Washington a chiudere la sua sede diplomatica a Sana'a, riaperta dopo due giorni. Chiuse e poi riaperte anche le ambasciate francese e tedesca.
"Potenze straniere dietro la crisi" - Nella situazione dello Yemen, che si confronta con ribelli sciiti, indipendentisti del sud e terrorismo islamico, c'è la mano di "potenze straniere". E' quanto affermato dal ministro degli Esteri yemenita Abu Bakr al-Qurbi, che in un'intervista ad Aki-Adnkronos International ha sostenuto che "né lo Yemen, ne' gli yemeniti hanno alcun interesse ad alimentare tensioni o guerre civili, perché a pagare è la nazione e il suo popolo". Per questo, l'ingerenza di forze esterne, a suo giudizio, è "probabile".
Nelle scorse settimane, ad esempio, accuse erano state rivolte all'Iran, indicato come sostenitore dei ribelli sciiti 'hawthiti', attivi nella provincia settentrionale di Sa'ada, lungo il confine con l'Arabia Saudita. Ma, in generale, per il ministro degli Esteri "si esagera all'estero nel descrivere la situazione dello Yemen e la crescita dell'influenza di al-Qaeda nel paese". Sana'a, per questo, non permetterà che forze militari straniere siano stanziate sul territorio nazionale per contrastare il terrorismo. "Non credo che sia nell'interesse degli Stati Uniti e dei Paesi occidentali mandare forze in Yemen", ha dichiarato Qurbi, precisando che il Paese "è in grado di far fronte a ogni minaccia e pericolo, che si tratti di al-Qaeda o di qualunque altra forza". Alla comunità internazionale, Sana'a chiede piuttosto di "aiutare lo Yemen nella lotta contro al-Qaeda offrendo sostegno logistico, scambiando informazioni di intelligence e migliorando le competenze delle sue unità antiterrorismo e della sua guardia costiera, oltre a un contributo allo sviluppo per risolvere i problemi economici del Paese", ha aggiunto Qurbi che ha ribadito: "Il governo di Sana'a è determinato a sconfiggere i terroristi di al-Qaeda".
"E' necessario un rafforzamento della cooperazione a livello di intelligence con i Paesi amici" ha spiegato il ministro, secondo il quale "molti terroristi attivi nello Yemen sono fuggiti da altre aree della Penisola arabica, in particolare dall'Arabia Saudita, in seguito agli attacchi subiti". "Per questo - ha precisato - hanno preso lo Yemen come nuova base, integrandosi alla rete che già operava sul posto e sfruttando la natura geografica montuosa del paese". I terroristi di al-Qaeda, secondo il ministro, "hanno anche approfittato delle recenti tensioni in alcune province del sud", dove operano gruppi separatisti. In questo senso, "la sua instabilità fa dello Yemen un terreno fertile per l'esecuzione dei piani dei terroristi".
Dallo Yemen agli Stati Uniti. Il mea culpa di Obama - Barack Obama si assume la responsabilità degli errori commessi e non si prepara a licenziare nessuno per il clamoroso fallimento del sistema di sicurezza in occasione del fallito attentato di Natale. E' quanto hanno spiegato fonti della Casa Bianca alla Cnn, anticipando quanto dirà il presidente presentando il nuovo rapporto sulla vicenda.
"Il presidente dirà: 'ecco tutte le pecche, sono io il responsabile'" ha spiegato la fonte dell'emittente televisiva americana, sottolineando come Obama intende mostrare la differenza di atteggiamento rispetto all'amministrazione precedente, che tendeva "a giocare sempre a carte coperte", ammettendo con sincerità con gli americani che sono stati fatti gravi errori. E con la stessa trasparenza indicherà quello che sarà necessario fare per rimediare, ma senza che il processo si trasformi in una caccia ai responsabili.
Ad anticipare il rapporto di Obama, definendolo da "shock", è stato il consigliere americano per la Sicurezza nazionale, generale James Jones.
L'amministrazione Usa punta il dito contro gli "inaccettabili" errori compiuti dall'intelligence. Il presidente Obama - che nei giorni scorsi aveva già accusato i servizi segreti di aver fatto "una cavolata" - "è allarmato" dal fatto che non si è agito di fronte a informazioni che erano disponibili, spiega Jones. Il Consigliere per la Sicurezza nazionale sottolinea che è la seconda volta che succede, dato che nessuno ha saputo fermare in tempo l'attentatore che ha ucciso 13 persone a Fort Hood malgrado vi fossero diversi motivi di allarme. Obama "non vuole certo un terzo attacco, né lo vuole nessun altro", ha aggiunto Jones.
Non solo. Che qualcosa non abbia funzionato nella prevenzione emerge chiaramente dal fatto che i funzionari della sicurezza americani erano pronti a interrogare Umar Farouk Abdul Mutallab al suo arrivo a Detroit: in pratica l'intelligence si sarebbe accorta dei legami del giovane nigeriano con gruppi estremisti quando ormai Mutallab si trovava già in volo verso gli Stati Uniti. "Quelli di Detroit erano pronti ad esaminarlo", ha riferito una fonte della sicurezza, spiegando che il database indicava contatti fra il nigeriano ed alcuni estremisti nello Yemen. Se questi dati fossero stati acquisiti prima, il giovane attentatore nigeriano poteva già essere fermato ad Amsterdam.
Una fonte dell'amministrazione ha tuttavia rilevato che le informazioni ricevute non avrebbero per forza portato a fermare Mutallab ad Amsterdam. Il nigeriano appariva infatti in una lista di mezzo milione di nomi che indica persone legate ad estremisti, ma non considerati una minaccia e quindi, probabilmente, si sarebbe in ogni caso deciso d'interrogarlo all'arrivo. Un funzionario della sicurezza nazionale spiega infatti che spesso viene concesso a persone legate a gruppi estremisti di entrare negli Stati Uniti: "è sensato dal punto di vista dell'intelligence. Se non sono considerati pericolosi, forniscono informazioni su dove vanno e chi incontrano". Inoltre, il tempo per stabilire se un passeggero proveniente dall'estero rappresenta una minaccia è alquanto ridotto. I funzionari della sicurezza di frontiere hanno accesso ai dati dei passeggeri sulle base delle prenotazioni dei voli, ma l'esame più approfondito viene fatto solo sulla lista finale, disponibile solo poche ore prima della partenza. E' così che il personale del Custom and Border Proection si è imbattuto sulla segnalazione di Mutallab solo mentre questi era già in volo.
Il nodo resta comunque il fatto che l'aspirante kamikaze non fosse fra i 4mila nomi della "no-fly list" o fra i 20mila della lista da considerare con attenzione. Secondo un funzionario della Sicurezza Interna, l'errore di base è che mesi fa non è stato fatto il collegamento fra le informazioni su un attentato che doveva essere compiuto da un nigeriano e la denuncia fatta dal padre di Mutallab sulle attività del figlio.
Le autorità yemenite intanto, fanno sapere che il giovane nigeriano sarebbe stato arruolato da al-Qaeda durante la sua permanenza a Londra e non nel suo viaggio studio a Sana'a. "Nei suoi documenti ci sono infatti numerosi timbri che provano i suoi frequenti viaggi verso la capitale britannica" rivela una fonte vicina al ministero della Difesa.
Una conferma sui contatti di Mutallab con ambienti estremisti yemeniti arriva dal vice primo ministro, Rshad al-Alimi, secondo cui il nigeriano aveva incontrato nello Yemen l'esponente religioso radicale vicino ad al Qaeda, Anwar al-Awlaki. L'incontro è avvenuto nella provincia di Shabwa, durante il viaggio di addestramento di Mutallab nel Paese arabo la scorsa estate. Awlaki aveva avuto contatti (fra i dieci e i venti, secondo le ricostruzioni dei servizi di sicurezza americani) anche con Nidal Malik Hasan, il militare americano che lo scorso novembre aprì il fuoco a Fort Hood, uccidendo altri 13 soldati.
Nel frattempo, le autorità dei paesi arabi del Golfo hanno notevolmente rafforzato i controlli e le attività di sicurezza nei confronti delle navi da guerra, delle petroliere e delle navi da crociera che arrivano o partono dagli scali portuali della regione. Secondo il giornale kuwaitiano 'al-Qabas', queste nuove misure di sicurezza sarebbero la diretta conseguenza di un rapporto inviato dai servizi segreti occidentali a quelli dei paesi arabi alleati, tra cui il Kuwait, nei quali si parla di possibili attacchi da parte di terroristi di al-Qaeda contro le navi che transitano nella zona.
In particolare sembra che i terroristi di al-Qaeda abbiano già addestrato un gruppo di kamikaze, pronto ad entrare in azione contro le navi da guerra e da crociera che ogni giorno solcano le acque del Golfo Persico. I terroristi, addestrati nello Yemen o in Somalia, dovrebbero partire con piccole imbarcazioni dal Golfo di Aden alla volta del vicino Golfo Persico per mettere a segno i loro attacchi. Per questo i servizi segreti occidentali avrebbero chiesto alle polizie dei paesi arabi del Golfo di rafforzare la difesa delle navi militari e da crociera presenti in quell'area. "Grazie alle recenti vittorie ottenute dai miliziani islamici somali - si legge in una di queste informative - i terroristi sono entrati in possesso di armi sofisticate che alcuni paesi occidentali avevano consegnato al governo somalo".
Alcune di queste armi sarebbero già state consegnate ai terroristi di al-Qaeda presenti nello Yemen. Inoltre gli apparati di intelligence occidentali hanno appurato che gli uomini di al-Qaeda nello Yemen possiedono armi tecnologicamente avanzate che possono essere usate in attacchi via mare e che per questo si siano gia' stabiliti nei pressi dei porti yemeniti.
Infine i servizi segreti occidentali hanno fornito ai loro corrispettivi arabi i nomi di alcuni nuovi capi di al-Qaeda saliti di recente ai vertici del gruppo e che erano sconosciuti fino a poco tempo fa.
[Informazioni tratte da Adnkronos/Aki, Adnkronos/Ing]