A Selinunte il "nuovo" Museo Baglio Florio
La grande struttura Ottocentesca si apre con una mostra sull’architettura e i riti dall’età arcaica a quella ellenistica
Ultimati i lavori finanziati con il programma europeo Po Fesr 2007-2013, apre i battenti il Museo del Baglio Florio al parco archeologico di Selinunte.
Per l'apertura della grande struttura industriale Ottocentesca, un tempo destinata alla produzione del vino, l'inaugurazione della mostra "Thois Theiois. Selinunte e le forme della fede: architettura e riti dall'età arcaica all'ellenistica", nell'ambito della quale, tra gli altri, saranno esposti esempi di architettura dorica, come il tempio Y, un tempio periptero di dislocazione sconosciuta i cui resti riusati nelle fortificazioni di Porta Nord sono da oggi assemblati in fondo alla vasta sala, incorniciati dagli archi trasversi.
Il progetto è di Dieter Mertens, direttore emerito dell'Istituto germanico di Roma, ed è stato portato a compimento dagli architetti Carmelo Bennardo e Luigi Biondo.
Un'altra novità è l'esposizione dei reperti che vanno dall'età arcaica a quella ellenistica. Si tratta di reperti già esposti lo scorso mese di giugno e recuperati in diversi anni durante le campagne di scavi condotte da Clemente Marconi e Rosalia Pumo, dell'Institute of fine arts dell'Università di New York, in particolare sul tempio R, tra cui le punte di lancia incrociate infisse nel terreno dai primi coloni al momento della presa di possesso del territorio, un antico vaso corinzio datato al momento dell'insediamento sul sito e l'aulos, uno strumento a fiato in osso che testimonia l'esistenza di cerimonie religiose ritmate dal suono nelle feste in onore della divinità cui il tempio sembra fosse dedicato, la dea Demetra.
La mostra si concluderà con uno sguardo ai tetti dei templi selinuntini, studiati dalla Prof. Maria Clara Conti dell'Università di Torino, caratterizzati dalla presenza di grandi cornici in terracotta, che decoravano le sommità dei templi. Le cornici testimoniano la ricchezza e l’inventiva degli artigiani della città i quali, pur rifacendosi a stilemi della Grecia continentale, seppero donare alle loro opere quella forza e magnificenza raramente riscontrabile tra le altre colonie greche di Sicilia.