Chi legge a caso, mie giocose rime...
Chi era Giovanni Meli, poeta, drammaturgo, medico, chimico, (falso) abate, illuminista di Palermo
Un surciteddu di testa sbintata | Un topolino di testa sventata
avia pigghiatu la via di l'acitu | aveva preso la via dell'aceto
e facìa 'na vita scialacquata | e faceva una vita disordinata
cu l'amucuna di lu so partitu. | con gli amiconi del suo giro.
Lu ziu circau tirallu a bona strada, | Lo zio cercava di riportarlo sulla retta via
ma zappau all'acqua pirchì era attrivitu | ma zappava nell'acqua perché quello era reso audace
e di cchiù la saimi avia liccata | e per di più aveva leccato lo strutto,
di taverni e di zàgati peritu. | esperto di taverne e case di piacere.
Finarmenti Mucidda fici luca, | Finalmente la gatta lo beccò,
iddu grida: "Ziu! Ziu!". Ccu dogghia interna, | lui grida: "Zio! Zio!". Con interno dolore
sò ziu pri lu rammaricu si suca, | suo zio per il rammarico si rode,
poi dici: "Lu to casu mi costerna, | poi dice: "Il tuo caso mi costerna,
ma ora mi cerchi? cchiù chi t'affuca! | ma ora mi cerchi? pendaglio da forca!
Scutta pi quannu isti a la taverna!". | Paga per quando andavi alla taverna".
Li surci, tratta da "Favuli Murali"
Questa poesiola "morale", dal ritmo e dalla rima facile, è stata scritta dal poeta, drammaturgo, medico, chimico, (falso) abate, illuminista Giovanni Meli. Sì, proprio quel personaggio che dà il nome a diversi istituti scolastici in Sicilia.
Giovanni Meli [1740-1815] - annoverato tra le cosiddette "quattro coroncine", con Carlo Porta, Carlo Goldoni, Giuseppe Gioachino Belli (da affiancare alle "tre corone" di Dante, Petrarca e Boccaccio) - al crepuscolo del secolo dei lumi viveva a Palermo, nel pieno del suo successo di uomo mondano. Spirito originale ed eclettico, nonostante la sua non bella presenza fu amato dai popolani e conteso nei salotti nobiliari.
Foto © Piero Carbone - Statua di Giovanni Meli collocata nell'atrio del Palazzo delle Aquile a Palermo
Ecco la descrizione che ne dà un amico e contemporaneo: «Meli era alquanto basso della persona, robusto, con ampie spalle e petto largo e prominente. Innoltrandosi negli anni, anzicché curvarsi in avanti, piegavasi indietro, il che davagli un'aria più dignitosa nel procedere con gravità e lento passo. […]
Pulito era negli abiti, senza affettazione. Aveva breve collo e testa piccola in proporzione al corpo, fronte depressa, ampia e solcata da molte rughe, larghe tempia e nuca con molti bianchi e ondosi capelli; ciglia arcuate e pelose; faccia bruno-rossastra, occhi piccoli, neri, lucidissimi; gran naso biforcato all'estremità; larga bocca; grossi labbri, di cui l'inferiore proeminente, mani e piedi piccoli, la voce esile stridula ed acuta; languida la favella nello stato ordinario, e come era d'indole irritabile, montando in escandescenza l'alterava di tono e d'accento.
Solea dire di sè per ischerzo:
"È la mia facci purcedda 'nfurnata; / Haju la vuci di canna ciaccata"
(É la mia faccia [somigliante a un] porcellino infornato; / O' la voce di canna fessa).
Con fattezze brutte anziché no, il Meli appariva non pertanto quell'uomo d'importanza che era, perché nel volto, nella persona aveva un non so che di straordinario che in Grecia l'avrebbero fatto giudicare un filosofo come Socrate nella sua deformità, perocché entrambi manifestavano nella bruttezza esterna lo splendore dell'ingegno e le virtù del cuore. Parlando il Meli dipingeva con parole graziosamente ogni cosa: talché la prima impressione disaggradevole, recata dalla sua figura e dalla voce, tosto dimenticavasi, ed egli diveniva a chiunque gratissimo, ed era bramato in tutte le società.» (1)
Abbiamo accennato che Meli fu, oltre che poeta, anche medico e chimico. È rimarchevole osservare che con lui ebbe nuovo impulso nel 1787 l'insegnamento della chimica presso l'università palermitana, allora Accademia degli Studi; nella sua prima lezione ebbe a dire ai suoi studenti: "Noi studieremo insieme una scienza ignota a noi…"
Egli mantenne poi tale cattedra fino all'anno precedente alla sua morte, tenendosi sempre aggiornato sulle più recenti pubblicazioni e diffondendo le nuove scoperte che si andavano facendo in quel campo.
Tuttavia, nonostante la serietà e severità dei suoi studi medici e della sua attività didattica, egli non cessò mai di coltivare quella che fu e rimase sempre la sua grande passione: la poesia.
La fortuna di Giovanni Meli poeta è legata al mecenatismo di un nobile palermitano, Antonio Lucchesi Palli, principe di Campofranco. Questi, secondo il costume dell'epoca, aveva aperto nel suo palazzo l'Accademia della "Conversazione galante", una delle tante accademie nelle quali, tra i battimani d'obbligo, si recitavano sonetti, canzoni e "cicalate", poesie convenzionali in lode di soggetti stravaganti, genere umoristico che diede poi origine a sciarade, logogrifi e rebus.
Qui il Meli, appena diciottenne, produsse i suoi primi versi. Queste prime poesie del Meli destarono vivo interesse, e si dice che fu per gelosia che il principe, che si piccava d'essere un gran poeta, abilmente lo convinse a poetare in dialetto, dove non sarebbe stato degno per un aristocratico cimentarsi.
Così il Meli, che accettò il consiglio, scrisse due cicalate: una in lode della pulce, l'altra sulla mosca. Di lì ad un anno terminò il suo primo poema dialettale, da egli stesso definito bernesco, "La Fata Galanti", che venne letto nell'"Accademia" e indi dato alle stampe.
Foto di GJo - Eget arbete, CC BY-SA 3.0
Dopo qualche anno, divenuto medico, esercitò la professione a Cinisi, dove visse dal 1767 al 1771. Nella tranquillità di quel paese vicino al mare, Meli, in assiduo contatto con la natura e con la gente semplice dei campi e del mare visse la fondamentale esperienza georgica che colorò tutto il suo mondo interiore e nutrì la sua poesia migliore.
Nondimeno, mantenne i contatti culturali con la capitale, facendosi inviare dagli amici "tutti i libri che si andavano pubblicando" (1), e recandovisi spesso e volentieri per recitare le sue rime durante le sedute della "conversazione galante".
In questo felice periodo di vita e poesia, il Meli scrisse "L'origini di lu munnu", varie "Elegii", la "Buccolica", "Anacreontiche", "Canzunetti", "Maravigghi di Sicilia", "Lu viaggiu in Sicilia di un antiquariu" (1785), "Accademia de li antiquarii, epigrammi, brindisi".
Tornato definitivamente a Palermo nel 1771, continuò ad esercitare con successo l'arte medica. Curò infatti molti nobili, il viceré, l'arcivescovo, e fu medico di conventi e monasteri. Probabilmente proprio l'esigenza di potere entrare nei conventi evitando maldicenze fu uno dei motivi per cui, pur non essendolo, si fingeva abate. Inoltre, l'abito sacerdotale conferiva allora grande dignità a chi l'indossava, che poteva degnamente frequentare tanto le case dei nobili quanto quelle dei popolani, quale era effettivamente il Meli per nascita.
Come altri poeti del suo tempo si occupò anche di problemi sociali, come testimoniano vari scritti, tra cui Le riflessioni sullo stato presente del regno di Sicilia intorno all'agricoltura e della pastorizia [1801].
Nel 1802 scrisse invece una famosa lettera al Sig. Cav. Saverio Landolina di Siracusa sulla maniera di far fermentare e conservare i vini ne' tini a muro. Il metodo, a quanto dice l'autore, fu applicato con risultati eccellenti alla villa Butera in Bagheria. Il vino del principe di Butera, manipolato con quella nuova tecnica "era così gustoso al palato e chiaro alla vista che pareva vino vecchio, di maniera che portato alla tavola dove erano circa trenta commensali, non fu conosciuto per vino di quest'anno".
Negli ultimi anni della sua vita, il Meli compose le "Favuli murali" e si dedicò alla cura dell'edizione completa delle sue opere, che portò a compimento nel 1814, anno precedente alla sua morte.
La poesia del Meli, apparentemente arcadica e satirica, cioè convenzionale secondo gli stilemi dell'epoca, è in realtà segnata da ispirazioni varie e profonde. Al mondo agreste convenzionale e manierato si sostituisce la campagna reale, goduta e vissuta dal poeta, popolata dagli uomini dei campi da lui conosciuti ed amati. Il poeta "coglie la natura in atto e vi mescola le sue impressioni e passioni" (2).
Anche le sue satire, vive e fresche, sono dense d'umana compassione, sì che l'ironia, più maliziosa che crudele, più benevola che sarcastica, appare nei ritratti quasi per caso, non intenzionale. Dal ritratto si sviluppa poi la caricatura, laddove il poeta, conscio della sua serenità interiore, benevolo e incuriosito indugia dove il ridicolo è presente.
Per questo il Meli fu un grande poeta, cantore dell'umana ed eterna aspirazione alla paci, alla serenità antica dei campi, alla bellezza della natura, alle gioie dell'amore, all'equilibrio di una moralità semplice e schietta.
Dotato di un naturale ottimismo e di una gioiosa vitalità, Meli fu lontano sia dagli arcadi, che pure furono i suoi maestri, sia dai romantici, dei quali non fu un precursore. Fu senz'altro, però, un rinnovatore, e non possiamo che condividere il giudizio del De Sanctis, quando afferma: "Il Meli trovò una vecchia letteratura e trasportandola nel suo dialetto vi spirò la freschezza della gioventù, ne fece il mondo della verità e del sentimento." (2)
(1) Biografia di Giovanni Meli, scritta da Agostino Gallo, contemporaneo ed amico del Poeta. Trovasi in Opere Poetiche, XVI ed. a c. di E. Alfano, Palermo 1908 p.XLIII
(2) F. De Sanctis, Conferenza tenuta l'8 settembre 1875 nella grande Aula della R. Università di Palermo. Ed. universale Laterza, Saggi critici, a c. di L. Russo, 1965 vol. 3°
Al lettore
Chi legge a caso, mie giocose rime
dirà seco medesmo: oh fortunato
costui, che gode un viver sì beato,
come si narra delle genti prime.
Quant'erra uman giudizio! Non esprime
sempre il canto, del cor vero lo stato,
ché tra ceppi talor lo sventurato
crea immagini liete e il duol comprime.
Verde ramo così da vento oppresso
piega al suol le cime, indi risale,
per l'innato vigor ch'egli à in se stesso;
e fra il duro ondeggiar che lo dibatte,
mentre che il turbo or cede ed or l'assale,
sembra ch'ei si trastulli, eppur combatte!
Tratta da Favuli Murali
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Piccola bibliografia
La maggior parte dei libri riportati consiste in ristampe anastatiche di testi più antichi; di questi riportasi anche, tra parentesi, l'edizione originale.
Di Giovanni Meli:
Opere poetiche - Centro Editoriale Meridionale - 1977, Introd. Alla ristampa di A. Leggio [G. Leggio e G. Piazza, Editori - Palermo - 1908, XVI edizione] Comprende:
- Favole
- Liriche varie
- Liriche Filosofiche
- Liriche civili
- Satire
- Poesie politiche
- Poesie religiose
- Ditirambo
- L'origine del mondo
- La Buccolica
- Don Chisciotte e Sancio Panza
- Anacreontiche
- Dedicatorie
- Poesie diverse
- Poesie italiane
- Frammenti
- La fata galante
Poesie siciliane, a c. di F. Biondolillo, con saggio di F. De Sanctis - Avanzini e Torraca editori - Roma, I ed. 1965
I - La Buccolica, Odi, Canzonette
II - Don Chisciotti e Sanciu Panza
Breve grammatica per gl'italiani - fa parte di: Dizionario siciliano - italiano - G. Biundi - il Vespro 1978 [F.lli Pedone Lauriel - 1857]
Su Giovanni Meli:
G. Pipitone Federico - G. Meli - Ed. Sandron - Palermo - 1898
F. Biondolillo - La poesia di G. Meli - Catania 1926
Biografia, scritta da Agostino Gallo - Palermo - vedova Solli 1857
Trovasi anche integrale in Opere Poetiche, XVI ed. a c. di E. Alfano, Palermo 1908 p.XLIII, op. cit.
F.De Sanctis - Giovanni Meli - Conferenza tenuta nella grande Aula della R. Università di Palermo addì 8 settembre 1875. Trovasi in Saggi critici, Ed. universale Laterza, a c. di L. Russo, 1965 vol. 3°, op. cit.
[Palermo- Tipografia Barcellona 1875. Ripubblicata nelle Lezioni di Storia della letteratura italiana, vol.2, Napoli - Morano - 1878]
Per ulteriori approfondimenti bibliografici concernenti le edizioni più antiche delle opere di e su G. Meli, nonché varie traduzioni in latino, italiano, francese, tedesco di alcune poesie vedasi il SAGGIO DI BIBLIOGRAFIA in calce all'opera di G. Pipitone Federico - Palermo 1898, op. cit.