Conosci la storia della "Pasta di mandorle"? L'ingrediente principale di pecorelle e cassate
Storia della ''pasta reale'', dolce di tradizione araba e protagonista delle tavole di Pasqua
In questo articolo scoprirai:
- Un po' di storia della "Pasta Reale"
- Com'è che il marzapane si chiamò "Martorana"
- La nascita delle "pecorelle" di Martorana
Presente in molti dolci tradizionali siciliani, la "pasta reale", versione siciliana del marzapane - la pasta di mandorle, per intenderci -, viene impiegata per realizzare la cosiddetta "frutta di martorana" che i bambini ricevono in regalo dai parenti defunti per la "Festa dei Morti" , come anche per formare i "picurreddi" di Pasqua (le "Pecorelle di Martorana") e, infine, come rivestimento della cassata, tradizionalmente legata alla festa pasquale.
Un po' di storia della "Pasta Reale"
Il marzapane siciliano nacque quando lo zucchero di canna - che venne portato in Sicilia dagli Arabi (prima, con i Greci ed i Romani, si dolcificava con il miele) durante la loro dominazione dal IX all'XI secolo d.C. - passò nei conventi normanni dove si continuava la tradizione islamica di mescolarlo alla mandorla dolce, tritata e raffinata al mortaio, e poi leggermente cotta in egual parte di zucchero aromatizzato con l'aggiunta di pochissima acqua d'arance alla cannella.
"Marzapane" deriva proprio dalla parola araba "manthàban" e dapprima stava ad indicare il contenitore dove si riponeva il dolce, poi lo stesso nome passò alla moneta valida ad acquistare la pezzatura corrente della preparazione ed, infine, venne esteso anche alla misura di capacità utilizzata per calcolare l'esatta proporzione dì zucchero e mandorle per la confezione dell'ormai popolarissimo marzapane che, per essere presente anche nella tavola del Re, cominciò a chiamarsi "Pasta Reale".
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Com'è che il marzapane si chiamò "Martorana"
Piazza Bellini con, a sinistra, la Chiesa della Martorana e a destra la Chiesa di San Cataldo Palermo. Photo by Wolfgang Moroder - Opera propria, CC BY-SA 3.0
Nel 1143 l'ammiraglio Giorgio di Antiochia, fedelissimo di Ruggero II (che fu il primo re normanno) aveva fatto erigere a Palermo una chiesa (Santa Maria dell'Ammiraglio) che venne affidata alle monache bizantine.
Nell'attiguo convento le monache, oltre a custodire una preziosa biblioteca, confezionavano per la festa di "Tutti i Santi" deliziosi dolcetti di pasta di mandorle, colorati e lucenti per la gomma arabica dragante diluita, impiegata come fissatore dei colori vegetali commestibili: il rosso veniva estratto dalle rose, il giallo dagli stami di zafferano e il verde dal pistacchio.
Sempre in epoca normanna, nell'anno 1193, Eloisa Martorana edificò il Monastero, che da lei prese il nome e che inglobò la chiesa ed il convento delle monache greche, e innalzò le cupole rosse di derivazione araba, che del resto ornavano anche la vicina chiesa di San Giovanni degli Eremiti, fatta costruire direttamente da Ruggero II. Tutto il complesso venne chiamato allora, per estensione, "della Martorana".
Nel 1435 Re Alfonso d'Aragona donò alle suore Benedettine il complesso che continuò a chiamarsi "Monastero della Martorana", nessuno allora ricordava più il nome di Eloisa Martorana, se non attraverso i particolarissimi dolci di pasta reale, ormai chiamati dovunque "di martorana", per il secolare e sapiente lavoro delle monache di quel monastero.
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Frattanto la tecnica della "martorana" si era diffusa in tutta la Sicilia e, poiché di pari passo si era sviluppato in tempo di Pasqua l'uso delle sostanziose "cassate" - anch'esse di derivazione araba -, la martorana (soprattutto nei colori bianco niveo e verde pistacchio tenue) era confezionata in quantità per rivestire, anche a settori alternati nei due colori, tutto il giro esterno della cassata, a nascondere il pan di Spagna e la crema di ricotta che la farcivano.
La potente corporazione dei "Confettari" si impadronì allora della produzione del dolce che ormai veniva confezionato in ogni periodo dell'anno e nelle fogge più diverse.
Non per questo però le monache della Martorana o di altri Monasteri ne avevano sospeso la produzione. Anzi, cinque secoli dopo la cacciata degli Arabi, era tanta l'abitudine di confezionare in conventi femminili i suddetti dolci, che nel 1575 il Sinodo diocesano di Mazara del Vallo fu costretto a proibire la fabbricazione di pasta reale e di cassate, per non distrarre le monache dalle pratiche religiose durante la Settimana Santa.
Mai solenne divieto fu disatteso più di questo: infatti le pie monachelle, che vedevano nell'opera del "Confettari" una terribile e crescente concorrenza, non se ne diedero pensiero e, bellamente, anche per non perdere i clienti, continuarono a dipingere frutti di martorana e a confezionare cassate, cassatelle e, perfino, "minni di Virgini" (dedicate a sant'Agata e tipiche del catanese) nella quiete dei loro secolari conventi anche di clausura. La "ruota" dei monasteri girava allora incessante, al tocco della campanella, e prima portava attraverso il disco ruotante la moneta e poi il "devoto" ritirava - al secondo giro - i prelibati dolci.
La nascita delle "pecorelle" di Martorana
Il 27 gennaio, per la Festa di Sant'Antonio, ad Acireale, altro centro di produzione della martorana nella Sicilia orientale, venivano messi in vendita cavallucci e "scecchi" (asinelli) di pasta reale, tanto più che si era già in tempo di Carnevale: "Sant'Antoni, maschiri e soni".
Ma questa non era altro che la risposta orientale ai maialini (purcidduzzi) rosati di marzapane che Palermo realizzava il 20 gennaio per la Festa di San Sebastiano, giacchè: "Ppì San Bastianu, maschiri 'n chianu!".
Scecchi e purcidduzzi, a Pasqua, per celebrare l'antico rito del sacrificio dell’agnello, si sono trasformati in picureddi, tra i dolci siciliani pasquali più rappresentativi.
I picureddi sono dolci a base di pasta reale, a forma di agnello con una posa classica ovvero sdraiato su un fianco, sopra un prato verde disseminato di confettini multicolori, con una banderuola rossa simile a quella che nell'iconografia sacra è in mano a San Giovanni, infilzata sul dorso.
[Informazioni tratte da "Piccola Storia della Frutta Martorana" di Pino Correnti]
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