E non poteva essere altrimenti: il vino più antico del mondo è siciliano!
Risale a prima dell'Età del Rame e i suoi residui sono stati ritrovati in una grotta vicino Agrigento
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Secondo lo storico Diodoro Siculo, Dioniso (Bacco per i romani), dio dell'estasi, dell'ebbrezza, della liberazione dei sensi e del vino, fu concepito in una grotta dall'unione di Zeus e di Persefone. Una maniera per mettere in connessione Dioniso con i culti delle grandi divinità femminili della Sicilia antica, quali Demetra e Kore, molto venerate nell'antica Akragas, Agrigento.
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Sempre Diodoro Siculo riporta che, nel V secolo a.C., ad Akragas e nel territorio circostante la città, si viveva nel benessere e c'erano vigneti rigogliosi che si estendevano in maniera eccezionale.
Lo scultore e teorico greco Policleto, invece, racconta che, mentre era soldato nella città di Akragas, ha visto cisterne scavate nella roccia così grandi da contenere migliaia di anfore di vino. Queste "cantine" erano nella casa del celebre Gellia, il più ricco abitante di Akragas.
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A testimoniare che ad Akragas si vivesse bene e che il vino scorreva a fiumi, ci sono anche le parole del filosofo agrigentino Empedocle, che descrive i suoi concittadini come persone che mangiavano e bevevano vino come se non dovesse esserci un domani.
Che non sia difficile credere alla veridicità delle cronache fin qui citate, esiste un'ulteriore prova, che addirittura pone a molto tempo prima, parliamo dell'Età del Rame, la passione e la cura dei popoli agracantini per l'amato divin nettare d'uva: le grandi giare rinvenute nel 2017 in una grotta del Monte Kronio, non distante da Agrigento, da un gruppo internazionale di ricerca.
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La scoperta, pubblicata su Microchemical Journal, dimostra che la viticoltura e la produzione di vino in Italia non sono cominciate nell'Età del Bronzo, come ipotizzato finora, ma oltre 2.000 anni prima.
A confermarlo sono i residui chimici rimasti dentro le giare: la terracotta, non smaltata, ha conservato tracce di acido tartarico e del suo sale di sodio, sostanze che si trovano naturalmente negli acini d'uva e nel processo di vinificazione.
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"Diversamente dalle scoperte precedenti che si limitavano a semi di vite, che attestavano la sola pratica della viticoltura per l'Età del Bronzo - ha spiegato l'archeologo Davide Tanasi, professore dell'Università della Florida Meridionale che ha guidato la ricerca -, la nostra scoperta ha invece identificato la produzione del vino vera e propria, collocabile in un periodo molto più antico come l'Età del Rame".
La stessa equipe di ricercatori - di cui hanno fatto parte studiosi del Cnr, dell'Università di Catania e della Soprintendenza ai Beni Culturali di Agrigento - ha poi continuato gli studi per comprendere la dieta, il commercio e le abitudini culinarie dell'Italia di allora e stabilire anche se quel vino fosse bianco o rosso.