Il grande valore dell'Oro verde di Bronte di cui le istituzioni non si accorgono
Dalla storia di successo dell’azienda Pistì, la dimostrazione di come le istituzioni non comprendano le aziende
"Abbiamo iniziato quasi per gioco con un laboratorio artigianale per la produzione di dolci tipici siciliani: torroni, frutta martorana, croccanti e cioccolato, specialità alle mandorle, panettoni e colombe, naturalmente a base di pistacchio. Il mio socio, Vincenzo Longhitano, li produceva e io mi presentavo in giro per il mondo e mi ero fatto crescere la barba per sembrare più vecchio di fronte ai buyer. Era il 2002".
A raccontare come tutto è cominciato è Nino Marino, l'altro socio di Pistì, tra le maggiori imprese dolciarie di Bronte, in provincia di Catania, e che fa parte, insieme a Vincente Delicacies e Madero Quality, dell'azienda Antichi sapori dell'Etna.
Nella foto, da sinistra, Vincenzo Longhitano e Nino Marino
Da allora sono passati 18 anni e adesso Pistì dà lavoro a 200 persone - l'80% delle quali sono donne - e il 2019 si è concluso con un fatturato che ha sfiorato i 50 milioni, venti in più dell'anno precedente e, aggiunge Marino, "il 2020 sarà ancora in crescita".
"Oggi all'Italia va il 70% della nostra produzione, siamo in tutte le principali insegne, soprattutto al nord, in Lombardia, Piemonte e Triveneto. All'estero va il restante 30%, esportato in 41 Paesi nel mondo, in primis Australia, Nuova Zelanda, California e Giappone, dove viene venduto sia nella grande distribuzione organizzata che nei negozi".
Da Bronte, una città di 25mila abitanti ai piedi dell'Etna, arriva quasi l'un per cento della produzione mondiale di pistacchio. In media 4 milioni di chili, colti un anno sì e uno no. Pistì segue da sempre tutta la filiera del prodotto, dal pistacchieto allo scaffale.
"Siamo stati tra i primi a ricevere l'autorizzazione alla vendita e alla trasformazione del 'Pistacchio verde di Bronte Dop'. Prediligiamo materie prime siciliane ma non sempre sono sufficienti a sostenere tutta la produzione". A partire dal pistacchio. "Abbiamo 60 ettari di terreno dove lo coltiviamo - dice ancora Marino -. Ma ce ne serve moltissimo, ne usiamo 500 tonnellate in due anni: acquistiamo circa 30-40% di tutto il pistacchio coltivato a Bronte. Per la restante parte, ci rivolgiamo all'estero. Iran, Grecia, California, Turchia e Spagna".
Tutto bene, allora? Mica tanto: "La nostra scommessa è di diventare un esempio per evitare la fuga dalla terra, soprattutto di giovani. La nostra è una terra difficile perché manca una cultura imprenditoriale. Stiamo cercando di formare noi queste figure professionali attraverso una fondazione per i figli dei nostri dipendenti". E poi "servirebbe una cultura d'impresa anche per le aziende agricole, servirebbe un'agricoltura 2.0 perché non basta solo saper zappare la terra. Da questo punto di vista le istituzioni e la politica potrebbe far molto".
Purtroppo non è (ancora) così, nemmeno per quanto riguarda la logistica: "Come imprenditori non sentiamo il supporto delle istituzioni, anzi sono lontane , e a volte anche un peso". E se chiedi a Marino di quantificare economicamente quanto possa pesare questa lontananza risponde che "i problemi di carattere socio-politico ci tolgono circa il 10% di possibili ricavi".
Che fare allora? "Puntiamo ad allargare la nostra presenza sui mercati esteri e per quanto riguarda l'Italia a valorizzare il "brand" perché la nostra marca è sempre più conosciuta e apprezzata".
Fonte: La Stampa