La sacralità delle mammelle
Una riflessione estetico-sociologica sulla valenza e il valore reale del seno femminile
LA SACRALITÀ DELLE MAMMELLE
di Agostino Spataro
Buenos Aires. Donna che allatta davanti al monumento sepolcrale di Carlos Gardel (foto di Agostino Spataro)
M’indigna la voga che vuole la donna dotata di un apparato mammellare ("minne" in siciliano) eccessivo, debordante.
Il vile mercimonio del corpo femminile continua e non risparmia nemmeno gli organi sacri della donna madre. Dopo l’utero venduto nei bordelli, ora è la volta delle mammelle svendute su spiagge e passerelle o su vacue riviste patinate.
Gli antichi adoravano Artemide di Efeso per le sue molte mammelle che erano simboli di bellezza e di fertilità. D’altra parte, "mammella" viene dal latino "mamila" diminutivo di mamma.
Gran parte dell'umanità è stata svezzata prima con il latte della madre e poi con quello di capra.
Nel nostro immaginario infantile, le "minne" erano la fonte della vita.
Ricordo che si restava terrorizzati se qualcuno ti lanciava la "gastima" estrema "avissiru a siccare li minni a to mà" perché considerata una minaccia orribile che attentava alla vita presente e futura.
A volte, vi si ricorreva per salvare le rane dalle atroci sevizie dei mocciosi ai quali s’intimava: "s’ammazzi sta giurana ci sicchirannu li minni a to mà". Molti si bloccavano, col sasso in mano!
Anche sul piano erotico, le donne troppo minnute non attiravano. Di una signora che andava senza reggipetto, perché fuori misura, si diceva che era "acquarrata" ossia che nelle sue mammelle non c’era latte ma acqua "giogia", piovana.
I gusti cambiano e le mode inseguono, tuttavia stupisce vedere molte donne, anche ragazzine, con appesi questi volgari ingombri. E pensare che per ottenerli si sottopongono a veri e propri "squartamenti" del chirurgo plastico. Al posto delle mammelle, spugne di silicone. Ma cos’altro si pretende dalla donna?
Intanto, crescono i casi di tumore al seno che sta facendo stragi di mammelle. Quasi fossero un "arredo" superfluo. Dovremo, forse, dar ragione a Ramón Gómez de la Serna ch’era convinto della loro inutilità? L’autore di "Seni", fra il serio e il frivolo, decreta che: "Bisogna buttare i seni all’acqua, all’abisso, a mare... I seni sono la cosa più superflua e vuota che esista, sono un’essenza vana, sono freddi e la loro rotondità e la loro materia sono come di mercurio umano." (Ed. Dell’Oglio, 78)
Con tutto il rispetto per la sua vasta competenza "mammellare", non si capisce a quali seni abbia allattato il De la Serna!