Per i Grani Antichi Siciliani una filiera autentica e tracciabile
La Sicilia può vantare ben 22 varietà autoctone di frumento duro (sulle 27 a livello nazionale)
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All'epoca dell'Impero romano la Sicilia, Terra di Cerere (dea madre della Terra e della fertilità, nume tutelare dei raccolti), venne definita da Catone "il granaio della repubblica, la nutrice al cui seno il popolo romano si è nutrito".
Non a caso, diventando provincia romana (nel 241 a.C. alla fine della prima guerra punica), l'Isola si trasformò in un enorme campo agroalimentare. In particolare, il grano divenne la materia prima più importante, tanto che ogni anno Roma importava dalla Sicilia oltre tre milioni di quintali di questo cereale.
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Oggi la coltivazione del grano in Sicilia, anche se non più massiva come quella del periodo della Caput mundi, continua ad essere un segmento importantissimo per l'agricoltura siciliana, tanto che, dopo approfonditi studi, sono state caratterizzate ben 22 varietà autoctone di frumento duro (su 27 a livello azionale) e 3 varietà autoctone di frumento tenero (tutte iscritte al Registro Nazionale delle varietà da conservazione).
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Infatti, gli organi istituzionali, a più livelli, possono adesso disporre di un patrimonio informativo su basi scientifiche che permetterà di implementare quel processo di certificazione, tracciabilità e garanzia dei consumatori finali, che sui cosiddetti Grani Antichi di Sicilia ancora mancava.
Il Progetto di Ricerca del CREA sui Grani Antichi di Sicilia
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Sinonimo di naturalità e tradizione, i "Grani Antichi Siciliani", oggi tornati nel carrello della spesa e sulle tavole degli italiani, costituiscono un patrimonio prezioso per l'agricoltura in Sicilia. Legati ad antiche tradizioni, usi e costumi locali e associati a numerosi prodotti tipici molto apprezzati dai consumatori, costituiscono un elemento indispensabile per la tutela di un patrimonio genetico, economico, sociale e culturale di grande valore.
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Per questo motivo, per due anni, sono state portate avanti ricerche, con un approccio multidisciplinare, su due campagne produttive (2020 e 2021) condotte direttamente in campo, per la raccolta dei campioni di seme e di spighe delle varietà oggetto della ricerca sui grani antichi dell'isola.
Stiamo parlando del progetto CA.VA.SI.F.D. (Caratterizzazione di Varietà Autoctone Siciliane di Frumento Duro), realizzato dal CREA-DC di Palermo - capofila - insieme al CREA-DC di Tavazzano, dal Consorzio di Ricerca Gian Pietro Ballatore di Palermo e dall'Università degli Studi della Tuscia di Viterbo, su finanziamento dell'Assessorato all'Agricoltura della Regione Siciliana, utilizzando i fondi della legge sulla biodiversità (L. 194/2015) del Ministero dell'Agricoltura.
I materiali che sono stati studiati provengono dalle varietà autoctone coltivate oggi in Sicilia da 57 agricoltori responsabili del loro mantenimento in purezza (chiamati i "custodi"). Essi, quindi, rappresentano la reale biodiversità presente sul territorio regionale.
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Tale "fotografia" consentirà nel tempo di verificare le eventuali variazioni o scostamenti genetici dovuti all'interazione con l'ambiente e alla selezione degli agricoltori. Di conseguenza, sarà possibile assicurare l'autenticità dei prodotti tipici locali ed escludere possibili frodi, a tutela dell'intera filiera.
"Il lavoro svolto - ha spiegato Claudia Miceli del CREA-DC di Palermo - fornirà un utile contributo all'intero settore e all'attività della Commissione di Valutazione delle richieste di iscrizione al Registro Nazionale delle varietà da conservazione, che - a livello regionale - valuta le istanze dei soggetti che intendono iscriverle presso il Ministero dell'Agricoltura".
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Per Giuseppe Russo, dell'Istituto Gian Pietro Ballatore, "la Biodiversità è un valore che dobbiamo preservare e trasferire alle nuove generazioni. I cosiddetti Grani Antichi di Sicilia sono una sfida importante di recupero e valorizzazione che deve trovare coerenza lungo tutta la filiera, dal seme fino al prodotto trasformato".