Siamo lieti di presentavi il tartufo siciliano!
Forse non tutti sanno che... la Sicilia è riconosciuta tra le 14 regioni tartufigene d'Italia
Se diciamo tartufo, c'è da scommetterci, la maggior parte delle persone penserà a regioni come il Piemonte, l'Abruzzo e tutta quella zona dell’Appennino Umbro-Marchigiano rigogliosa di boschi.
Diciamo pure che è ovvio. Insomma, la Capitale mondiale del Tartufo è Alba, comune in provincia di Cuneo, in Piemonte, appunto...
È veramente improbabile, dunque, che parlando di questo prezioso fungo ipogeo venga in mente la Sicilia, vengano in mente i monti Iblei o i Nebrodi, venga in mente Capizzi (piccolo comune del Messinese)!
Foto viviappennino.com
Eppure, proprio il Comune di Capizzi, dove ogni anno si tiene una partecipatissima sagra del tartufo, è stato vittima di quella che i giornali chiamarono "la bufala (per non dire truffa) dei tartufi del Nord venduti come prodotto siciliano locale" e che qualcuno pagò al prezzo di 1.200 euro al chilo, quando a quei venditori disonesti saranno costato sì e no 200 euro al chilo! Un vero e proprio schiaffo, principalmente a Capizzi, cittadina di onesti e appassionati cavatori, e ai suoi tartufi neri siciliani che faticosamente continuano a cercare una strada nel mercato.
Proprio l'anno scorso nel periodo della sagra, ci ha raccontato il sindaco di Capizzi, Leonardo Principato Trosso, un consistente gruppo di "cavatori/investigatori", arrivati in paese col chiaro intento - peraltro poi da loro stessi confermato - di smascherare la "Truffa", si sono piacevolmente ricreduti partecipando alla ricerca del tartufo, organizzata dalla stessa amministrazione, e cavando insieme ai cavatori locali degli ottimi tartufi venduti in occasione dell'evento (che quest'anno si svolgerà dal 18 al 20 ottobre).
E infatti, non tutti sanno che la Regione Sicilia è riconosciuta tra le quattordici regioni tartufigene d’Italia. Sostanzialmente tale ignoranza proviene dal silenzio delle istituzioni che per troppo tempo ha come negato l’esistenza di quello che potrebbe essere un’opportunità di business di tutto rispetto.
Oggi però sembra che qualcosa, finalmente!, stia iniziando a cambiare; lo scorso mese di marzo, infatti, su iniziativa di alcune associazioni micologiche del territorio, la Regione Siciliana è stata sollecitata a stilare un disegno di legge che ponga le basi affinché l'attività di ricerca ed estrazione dei tartufi venga regolamentata.
La regolamentazione dell'attività di estrazione, ma anche di coltivazione del tartufo, posta in essere dalla Regione, può essere il primo passo da cui potranno partire molte attività economiche, in grado di coinvolgere non solo il settore agroalimentare, ma anche quello turistico.
Nonostante si stiano finalmente muovendo questi benedetti primi passi, viene giustamente da chiedersi: perché in Sicilia il grande pubblico non sa che esistono i tartufi? A questa domanda risponde Mario Prestifilippo, micologo e profondo conoscitore delle tartufaie siciliane...
"Ancora oggi quando si parla di tartufo in Sicilia, la gente è convinta di essere presa in giro e che noi micologi raccontiamo delle stupidaggini. Se poi aggiungiamo che fino ad ora non è esistito un vero interesse istituzionale in grado di crere un valido circuito dal punto di vista commerciale capace di farlo conoscere a livello regionale e proporlo a livello nazionale... Io i primi tartufi li ho trovati una ventina di anni fa e quasi tutta la Sicilia occidentale, che è la zona che frequento più assiduamente, ha delle aree vocate per il tartufo".
Ma non solo la Sicilia del West è scrigno di questi funghi della famiglia Tuberaceae. "Dopo anni e anni di ricerca - dice ancora Prestifilippo -, posso affermare che quella dei tartufi è una realtà molto presente in tutta l'Isola e che ancora può dare molte sorprese, anche perché alcune zone del messinese devono essere ancora censite".
"Solo negli ultimi cinque anni si è avuto un incremento di persone che vanno con i cani a cercare tartufi - aggiunge il micologo Prestifilippo -. Il poco interesse è stato determinato anche dalla mancanza di conoscenza del prodotto locale che ha determinato una scarsa richiesta. Adesso invece si sta mostrando un incremento maggiore rispetto a prima, perché è anche maggiore il numero dei cuochi che lavora il tartufo".
E parlando di cuochi diventa automatico chiedere quali siano le differenze tra i tartufi siciliani e quelli delle zone più famose d'Italia. A tale quesito risponde il micologo Arturo Carmelo Bucchieri: "Non ci sono differenze sostanziali tra il nostro tartufo e quello del nord, considerato sempre che non si possono fare paragoni tra il Tuber Magnatum (Tartufo bianco, ndr) perché quasi inesistente e il Melanosporum nostrano (pochissime quantità). Forse il nostro tartufo (Borchii, aAestivum) è più profumato, in quanto essendoci da noi minore quantità di piogge, più concentrata è la quantità di sostanze volatili e quindi il tartufo risulta più profumato".
Fortunatamente, la platea di chi è convinto che la valorizzazione del Tartufo siciliano possa portare enorme benefici all'isola si va allargando. Per lo chef Domenico Pipitone, appassionato divulgatore dei molteplici pregi del tartufo nostrano, "il tartufo siciliano sarebbe in grado di alzare il Pil dell'isola" basterebbe un progetto strategico che coinvolga "i principali attori dell'economia territoriale in grado di proporre tutto l'anno iniziative legate alle peculiarità del territorio, dall'enogastronomia al turismo leisure, dalla cultura all'artigianato".